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Quando mi assaggerai saprò di buono

Puoi continuare a ripetermi che tutto ha un senso. Le nostre telefonate notturne terminano per sfinimento. Ti domandavo il perché di tutte le pause che vi prendete voi donne e mi mostravi la scritta sulle tue scapole: remember me. E trascorrevo le ore del buio domandandomi come è possibile per me dimenticarti, poi a mattina realizzavo che quella che non si vuole dimenticare sei tu. E in mezzo al frastuono di nostre vita trovi il tuo spazio in quei silenzi che nessuno può disturbare. Quando tutto è sospeso non succede nulla, dicevo. Sei piccolo, replicavi tu. Ma se ho 31 anni, continuavo io. E la cosa ti rassicurava, che dopo i trenta uno ha coscienza almeno dei suoi limiti, ti tingi ancora le unghie lo sai? Non smetterai mai.

Quando nominavamo gli amici comuni era soltanto un modo per rassicurarci. E ti leggevo le mie poesie sempre nello stesso modo. Ti dicevo dovremmo tagliarci, meno parole e più intenzioni. Io qui a cercarmi un’offerta su Groupon per andare in palestra a rifarmi le spalle. Ho portato qualche peso quest’anno, mai troppi. Ho le dita consumate dalle intolleranze.

Ci hai mai pensato che i presidenti delle squadre di calcio hanno sempre il bilancio in rosso? Quando sei ricco conta soltanto il prestigio, che tanto povero non lo diventi mai. Quando invece ci credi e te la rischi, va a finire che a sera devi svuotare le tasche e ribaltare la lavatrice per recuperare gli ultimi cents. E così dai progetti per il bene comune finisci con l’inventare strategie per sopravvivere.

La chiami vita, questa? Che ce ne importa degli eremiti, dicevi tu. Io penso solo e soltanto a fare l’amore. Come fai a farti rovinare la giornata da un contrasto, un contrattempo, un saluto poco considerato, un’umiliazione ricevuta da chi non stimi? Altra cosa sono i dolori e le pieghe minute sotto agli occhi. Lo stress e le tensioni per lo sconosciuto e la rilassatezza di un pantaloncino e una canottiera. Se fossi donna non indosserei mai il reggiseno. Avrei i capelli lunghissimi o cortissimi. Leggerei Proust e Dostoevskij, o magari tutti e due. Invece son zuppo di peli sul petto e leggo gli americani, i francesi e gli italiani melanconici. Non sopporto più la comicità, e dire che a tavola rido.

Ora tu chissà dove sei, seduta a un tavolo a riflettere sulle prossime mosse di quei giochi che facciamo diventare seri, Giralamoda o quanto è bello il teatro. Vieni a cena, stasera, cucino io. Sei lontana, non verrai. Cucinerò lo stesso, così la prossima volta, quando mi assaggerai, saprò di buono.

Foto: dalla rete.

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A rubarti le spalle

La domenica con le tue pause, è sotto l’Inter a Catania mentre dall’azzurro del cielo di Parigi piovono malinconie irrisolte tra gli stendibiancheria nelle nostre case troppo piccole.

Sentirti bussare alla porta nel ventre della notte e dar tutta la colpa alla gradazione del vino.

Vorrei semplificare la mia sintassi per farti accedere ai luoghi bui del mio pensiero di oggi. Le luci intermittenti dei decoder e i codici intraducibili di quello che io chiamo desiderio di contatto, e tu non chiami e basta. E se poi gridi da qui non ti sento. Dei tuoi mille anni, dei tuoi mille amanti e del costume in due pezzi che ti ha reso donna.

Vorrei dividere il pane con te, noi due alla tavola di un signore che non conosciamo fino a toccare il fondo.

Vorrei farmi cane ed esserti fedele sempre, topo per elemosinare briciole del tuo passaggio.

E pareti in carta fotografica per lasciare impressi i nostri contorni. Le foto magnifiche degli orgasmi degli altri e la mia ricerca superficiale di attenzioni.

Ho cambiato l’acqua al pesce in tre case diverse nell’ultimo mese, il bagno è il luogo più frequentato del mondo e vai a finire che ti ci ritrovi sempre da solo.

Volevo rubarti le spalle e giocare a nascondino tra le tue labbra. Volevo almeno dirti addio, sporcarmi le guance di cioccolata e dirti che mal sopporto la parola sorriso.

Ci hanno rovinato tutto il vocabolario e con le mie pagine asciugo le tue lacrime dal pavimento e mi dico che forse così saranno zuppe di senso.

E quando mi dicono che la poesia si misura in pieni e in vuoti io storco le labbra e cambio voce, mi faccio verso e così, chino, fuori equilibrio, in tensione, dico che bello sarebbe se tu fossi qui.

Che vorrei rubarti le spalle, giocare a nascondino tra le tue labbra.

Foto: Enzo Sellerio

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Noi vinceremo

I   c a l o r i f e r i    a c c e s i    e     l e     r i v i s t e       s   p   a   r   s   e       s u l         p a vi me nto.

Di quando sono venuti a bussare alle nostre labbra e senza paura guardavamo immagini deformate dagli spioncini troppo piccoli per i tuoi occhi. E sai le porte non si aprivano mai, che non avevamo ancora un curriculum da mostrare.

Dobbiamo farci sintesi per poi svelarci.

Prenderci il tempo di definirci in righe e combattere il desiderio di evasione dei nostri membri inadatti.

Con la durezza del clima e le nostre albe, il soffffffffffffio dei tuoi pensieri che si abbassa lento e si infila tra i vetri.

Come orchidee, come farfalle. Inchiodati nelle cornici bianche delle nostre case guardiamo le finestre illuminate degli altri per immaginarci altrove, le storie incredibili dei film e l’inquilino del terzo piano.

Mi hai scritto che sei differente, l’hai scritto col rosso delle tue labbra. Ti immaginavo nuda trascinare la tua bocca aperta sulle mie cosce, le scritte debordanti della tua giovane età. E mi dicevi che la carne la vendono dai macellai, le opere d’arte non stanno nelle gallerie, ma sulla strada. Poi mi mostravi il bianco del tuo seno mentre tracciavi con le dita i percorsi dolci degli M&M’s colorati.

La tua nocciolina e la mia lingua d’arcobaleno.

Così sintetici che nemmeno le protezioni che infilavo tra le mie gambe servivano a tenerci lontani. E continuavamo con le nostre solitudini, a imparare rime sparse.

E così Matteo se n’è andato al nord e Claudio avrà presto una casa. Marco si sveglia alle sette del mattino e Maria non sa distinguere tra luci e buio.

E se ti sfioro le guance non prendi sonno.

Le tue foto le affitto soltanto per qualche secondo, poi le chiudo in quel mondo fatto di pixel che per questioni di transistor va a finire che esistono sempre anche se non le vedi. Come le mie emozioni, come le mie ferite.

Poi mi farò un piercing sull’occhio destro per mostrare al mondo che ho il corpo bucato e per le sofferenze costruire una statua. Come una Nike fuori dalla città, i miei segni della vittoria, perché vinceremo, lo sai, se sarà prima, se sarà poi.

Noi vinceremo.

Photo: opera di Andrei Molodkin

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