La domenica con le tue pause, è sotto l’Inter a Catania mentre dall’azzurro del cielo di Parigi piovono malinconie irrisolte tra gli stendibiancheria nelle nostre case troppo piccole.
Sentirti bussare alla porta nel ventre della notte e dar tutta la colpa alla gradazione del vino.
Vorrei semplificare la mia sintassi per farti accedere ai luoghi bui del mio pensiero di oggi. Le luci intermittenti dei decoder e i codici intraducibili di quello che io chiamo desiderio di contatto, e tu non chiami e basta. E se poi gridi da qui non ti sento. Dei tuoi mille anni, dei tuoi mille amanti e del costume in due pezzi che ti ha reso donna.
Vorrei dividere il pane con te, noi due alla tavola di un signore che non conosciamo fino a toccare il fondo.
Vorrei farmi cane ed esserti fedele sempre, topo per elemosinare briciole del tuo passaggio.
E pareti in carta fotografica per lasciare impressi i nostri contorni. Le foto magnifiche degli orgasmi degli altri e la mia ricerca superficiale di attenzioni.
Ho cambiato l’acqua al pesce in tre case diverse nell’ultimo mese, il bagno è il luogo più frequentato del mondo e vai a finire che ti ci ritrovi sempre da solo.
Volevo rubarti le spalle e giocare a nascondino tra le tue labbra. Volevo almeno dirti addio, sporcarmi le guance di cioccolata e dirti che mal sopporto la parola sorriso.
Ci hanno rovinato tutto il vocabolario e con le mie pagine asciugo le tue lacrime dal pavimento e mi dico che forse così saranno zuppe di senso.
E quando mi dicono che la poesia si misura in pieni e in vuoti io storco le labbra e cambio voce, mi faccio verso e così, chino, fuori equilibrio, in tensione, dico che bello sarebbe se tu fossi qui.
Che vorrei rubarti le spalle, giocare a nascondino tra le tue labbra.
Foto: Enzo Sellerio