Nel disegno

In quel disegno che ancora non mi hai mostrato ci sei tu a piedi nudi che prendi la rincorsa su un ring, coi guantoni da boxe e gli short sopra l’ombelico. Dove corri? Il tuo sguardo in un casco imbottito di pelle gialla, la gamba piegata per spiccare il volo. Dici la libertà non è di ora, alle finestre sono appesi i messaggi per la vita che verrà. Immobilizzati come siamo pensiamo al condizionale: come sarebbe se. Cantanti dietro alle tastiere, cittadini davanti al televisore, case sempre più pulite, capelli sempre più sporchi e le poesie di Bolano e di Mariangela Gualtieri. Mi piace leggere le parole dei vivi, immaginarle tra decine di anni e dire che quando sembra mancare tutto nelle parole c’è una consolazione sorprendente. Ti ho scritto per istinto, per curiosità, per noia, ho proiettato in te futuri improbabili e viaggi utopici e falliti in partenza. Hai detto che hai voglia di vedermi, che se allunghi le dita non riesci a toccarmi. Per chi inganna il reale con l’immaginario e lo traduce in parola questa solitudine è più leggera. Mentre c’è un’ansia che ci divora e ci costringe sul divano. Cuscini sotto alle nostre teste, immaginarci orizzontali a guardare un cielo che non c’è. Tradurre i giorni in progetti, riempire quaderni con citazioni di altri e liste di cose da fare che poi non hai voglia di fare. Cerchiamo di tradurre in ordine questo disordine a cui non siamo abituati. E quando tutto è sulla scrivania, fogli e fogli, righe e righe, la tazza del caffè, arrivi tu e spalanchi una finestra dal tuo piccolo mondo verde e fatato, vento che scompiglia i capelli, vento che tutto disordina e A4 sul pavimento. Ricominciare da capo, una nuova sfida di guance e sangue che scorre, di curiosità tradotte in domande. Abbiamo tolto la maschera dici e ora sì che il nostro respiro assomiglia a una canzone di quelle che sorprendono sdraiati su una amaca, quel che resta del giorno nel deserto di Atacama.

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