E ora vorrei parlarti dell’amore, di puttanieri e puttane

Ci siamo giocati il linguaggio noi sconfitti dal tempo, quando una memoria e una soltanto manco esiste, il ricordo dimenticato, sudato, annegato tra gli sforzi d’unicità dei più grandi. Sei così noto che tutto è permesso, potresti vendere auto col tuo nome inciso e pitture scarse, bibite zuccherate e corsi di cucina.

Vecchie bottiglie nei nostri mari e messaggi indecifrabili, l’Alessandria d’Egitto è Babele e tutto vi si mischia cercando l’ultimo gradino, quando mi abbassi le mutande per farti forza su me, io senza pantalone controllo l’intimo e perdo di vista la testa.

Così le voci si rincorrono inutili e vane, puttanieri e puttane e la retorica di fori intasati, le traversine portano tutto lo sporco alla fogna.

Mi riconosco nel rap che dà alle cose un nome e le unisce in ritmica e stile, e disconosco il mischiare i ruoli: io cantante, tu polis.

Non agli artisti è chiesta l’opinione, l’artista interroga e si interroga, la risposta è volgare. Usiamo il punto per raccontare storie.

Così voi giornalisti se fate cronaca, fate la cronaca e poi basta. Altrimenti ditelo, metto l’io davanti all’oggetto, perché molto ho letto, molto ho guardato, molto ho compreso, e vi stringeremo mani a più riprese, esulteremo perché non ci sentiremo così tanto soli. Ma di retorica Basta! Siete voi, voi che ci fate schiavi, voi che create la dinamica del servo e infarcite la lingua borghese di neologismi, e confondete coscienze col diritto di replica del fasullo. Il mass media è uno strumento di potere,  cosidetto libero o privato che sia, non c’è libertà quando tutto è già stato scelto e si chiede l’adesione o la non adesione, come ai tempi delle gite scolastiche, la religione nelle ore di scuola. Potreste dirmi che fare? Non c’è alternativa alcuna. E’ un mestiere, un lavoro, ben più nobile d’altri, più che un mestiere una necessità. E avete pure le vostre ragioni, e passione e un credo, chi sono io per imputarvi mea culpa? Io con le mutande bagnate di piscio, il bicchiere pieno, la borsa vuota. Io che rifiuto ogni volgare abbraccio e che stringo amicizie con gli sconosciuti con la scusa della sensibilità. Io che non ho una stanza, una porta, perché rifiuto la seggiola girevole e quando siedo a capotavola desidero che tutti prendano parola. Mangino bene. A sazietà.

Si aprissero le porte della prigione del nascondimento per contenere la mia sete di fama e il fascino eterno dei talk-show. Sogno di notte Daria Bignardi, io, Fabri Fibra e Marrakesch a interrogarci sul senso nuovo della parola. E sputare in mare, e togliere fascino ad albe e a tramonti.

La compagnia è il migliore strumento di fidelizzazione.

Se chiedi alle cosce riceverai risposte da cosce. Se chiedi il culo, un culo ti verrà donato. Chiedi alla fica, mio caro e da lì prenderai senno.

Tutto è parziale, non c’è armonia nella tua sete di sapere, non c’è risposta alcuna al tuo bisogno.

Sali la scala difficile della strada, fatti chiamare folle e abita lo spazio fatato del pasto, del vino, il silenzio dei luoghi del culto e il brusio delle coscienze disperse. Chiedi aiuto alle mani degli altri e interrogati con loro sul senso di questo tuo andare. Chi costruisce i palazzi e chi li abita, chi partorisce i figli e poi chi li cresce, chi si è tatuato, come un bollino che si appiccica alle banane, la parole diverso o egoista soltanto perché ha scelto il sentiero del discernimento assoluto e la rincorsa interminabile al folle che è altro dalla folla, folle è colui che tutti racchiude e si dà un nome soltanto quando negli altri coglie il colore delle sue labbra.

E ora venite a parlarmi di camicie di forza, di madri irrequiete e delle preoccupazioni di nostro fratello marchese. Non è così, la burocrazia ci tiene all’ordine e stirare le camicie per l’indomani niente ha a che fare con lo stile, ma con lo spazio.

Dipingere se stessi come un quadro ben noto, fare attenzione alla luce e alle ombre, i pieni, i vuoti. E ti ribellerai alle cornici con la tua forza inconoscibile e vera, risalirai negli occhi degli altri e percorrerai gole e gesti minuti o enormi. Immagina l’urlo quando farai paura, immagina l’abbraccio e il battito del cuore di chi ti verrà vicino.

E ora vorrei parlarti dell’amore. Quando diviene tutto un lungo silenzio. E quando apri la bocca è soltanto un sospiro lungo. E poi silenzio, ancora. E ancora.

Immagine: Ben Shahn

Shahn1

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