Non sarà certo youtube a tenere compagnia ai nostri incontri.
I ricordi di via Vigevano, la moka rosa, il portone grande e le ore spese a ridere dietro allo schermo. Col vino dimentico il perché delle mie visite, mi lascio andare al presente per negare al futuro l’accesso alle mie debolezza. Sono cambiato, lo sai, e diluisco lo sguardo nel tempo, lascio le ciglia sul palmo delle tue mani così puoi prendermi a pugni per esprimere desideri.
E sarà sempre un tavolo a dividerci. Le mani si incontrano cercando il cibo nei piatti.
E poi lo sai che quando sento parlare di verità mi si abbassa l’uccello, e volano via i pensieri cercando i piccioni e tanta merda sul capo dei retori. E non parlarmi dei romantici quando non c’è ironia nella tua prosa stanca. Il punto e l’a capo. La Kristof scriveva in una lingua non sua, quando dicevi che tutto bisogna lasciare per ritrovarlo nella bocca degli altri.
Quando ho messo le mani sugli occhi e ti ho detto cucù hai pensato sei folle.
E mentre si fa giorno non è la luce che trascina via le coperte e lascia al corpo il tempo del sabato per il risveglio. Nel cielo il bianco dei condom usati e decori di ringhiere e tende colorate. L’inverno delle porte chiuse e la lametta nuova per modellare il viso. Cade la barba sul nudo dei piedi, il ricordo delle tue docce lunghissime e i crampi delle ore notturne quando occorre distendersi per far passare il dolore.
E al mattino il desiderio delle tue spalle nude, la stella nera fa del tuo collo un Mirò.
E mentre preparo il caffè sporco le dita di nero e poi mi asciugo sui pantaloni, nel lavandino ci stanno i ricordi, che se abbandoni le mani nell’acqua finisci per indebolirti, lo sai. Quando la rilassatezza è una questione di misura.
Vorrei parlarti della vita dei ricci di mare e tengo trattati sull’apertura delle conchiglie.
Quanto ci esalta nyan.cat.
Poi dentro al telefono parole sul corpo, dice Laura: l’infanzia non piange al contatto e cerca un ventre per sonni tranquilli.
Quando sei tu va a finire che ti lasci abbracciare, non siamo salmoni e non è la natura a suggerirci l’andare.
E sui quotidiani i tweet dei famosi, il libro del momento ha il nome di un bar.
Ho indossato la tua felpa, Andrea, quella coi disegni sulla schiena e la scritta Dead to Fall, ti porto in spalla un po’, che ogni partenza ha bisogno di un saluto lungo. E gli addii li lasciamo ai calciatori, ci pensi mai che Zanetti è immortale? Che poi a 20 mi sembrava già vecchio, a me che porto trenta nei cerchi concentrici sottopelle e nascondo i segni dell’esperienza nella cicatrice sull’occhio sinistro. Quanti conoscono la sua esistenza, secondo te? Quanti mi hanno guardato davvero? Pochi. Rispondo io.
Prendevamo a pugni Milano per sentirci meno soli, quando lavoravo in libreria leggevo di più, pensavo di meno e andavo in palestra ogni giorno. L’allenamento è l’accesso alla conoscenza. Sei poi riuscito a muovere il muscolo del polpaccio?
Nel sangue ancora le tracce dell’alcool di ieri, e quanto è buono il Remy Martin alle fine dei pasti?
Vorrei utilizzare la parola stranito senza pensare alle anatre. Vorrei dirti sei bella, ma mica che poi pensi male.
E che vorrei imparare a suonare la chitarra quante volte l’ho detto, poi avere il coraggio di attraversare Parigi di notte. Ora lo faccio per prendere un aereo o ubriaco, vorrei farlo da sobrio, magari con te, dopo un caffè. A non parlare, a non raccontare, soltanto a guardare, a camminare. A bere, a fumare, e poi a casa dirci che se sei sulla strada non puoi scrivere come Paolo Coelho. Dormiamo insieme, dormiamo.
Foto: Philip-Lorca di Corcia