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Io che alle madri piaccio sempre tanto

In piedi davanti al vetro ansimo, non ho corso, mi sono soltanto svegliato da poco. Lassù è blu di cielo, e verde di terrazze e luccichio di gru e ponteggi. I treni si rincorrono senza prendersi mai. Le carrozzine s’incontrano nei parchi senza salutarsi, qualche cerniera rimasta aperta sulle panchine e macchie di vino e sputo per terra. I centri commerciali svuotati d’abeti e case che si ribellano al freddo: tè caldi e castagne e vino, calze grosse e pantofole. Le spremute al risveglio e conservare le bucce d’arance per i caloriferi accesi.

Guardavo la televisione sdraiato sul tappeto, la bocca aperta, quando mi dicevi è pronta la cena io non rispondevo. La fame soltanto una distrazione. Sapevo addormentarmi alle sei del pomeriggio e andavo a letto felice tra i disegni di un libro o la parole antiche del nonno: sogni d’oro e brillanti e carezze da non restituire.

Mica come adesso che ogni giorno è attesa di partenza, d’aerei e biglietti. Quando mi parli delle tue scarpe nuove ti dico che al viaggio non serve, che la novità riempie gli occhi di stupore e i piedi di vesciche. Che ne sai tu dei viaggi se ormai vivi a Milano e trascorri il tuo tempo inginocchiato davanti a un computer? Che ne sai tu di quel che s’incastra nella mia barba, con quali canti accompagno il divano o le storie che hanno ascoltato i miei cucchiai di legno: il brodo per il risotto e l’attesa di quei due minuti burro e formaggio, ci vuole pazienza anche davanti al piatto, il gusto pieno arriva dopo due forchettate.

E quando ti dico non ho mai svuotato lo zaino tu non mi credi, mi dici hai le mensole colme di libri e nel passo acquisti pesantezza ogni giorno che passa. E faccio finta d’ascoltarti poi cambio discorso, delle primarie dei partiti politici e delle barbe sfatte dei leader, delle mille penne disperse sotto al letto e del programma della lavatrice, le tovaglie dallo sporco difficile.

E poi tu dove sei? Sei ancora là? O più in qua? Vicina o lontana? Quanti chilometri ci separano? Non mi rispondi e giro giro il mappamondo, mi dico partire non serve a niente se continuo a inseguirti e tu scappi, non è certo un gioco, ma nemmeno una cosa seria, chissà cos’è questo nostro rincorrerci, chissà perché. L’ho sognato proprio stanotte, una lettera di tua madre, che poi lo sai, mica la conosco, mica sa chi sono, diceva capirà, prima o poi capirà, dorme la piccola mia, lo sa che il mondo non può finire domani, si sveglierà, prima o poi si sveglierà. Ma io alle madri piaccio sempre tanto.

Foto: Luca Regia Corti.

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Ci immagini noi

E pregare, sì, pregare. Alzare le braccia al cielo, la faccia coperta di terra e saliva sul cuscino. Specchiarsi per non ritrovarsi. L’occhio tumefatto e le guance scavate. Ciuffi di pelo sulla pancia e nessuna maniglia a cui aggrapparsi per risalire.

Vestiti soltanto di un pigiama troppo largo e a righe, il divano come unico approdo e la televisione sempre accesa. Il frigorifero lasciato aperto e nessun segno di vita di fuori.

Celebrare l’oggi come le vedove che santificano i giorni. Nei riti del caffè annegare tutto quanto è stato e dimenticarsi di telefonare ai tuoi cari. Se c’è qualcuno che compie gli anni storcere il naso, noi ancora qui che misuriamo il tempo quando invece abbiamo bisogno di spazio. Spazio per andare e spazio per lasciarci andare. Immagino tu che ti gratti il naso e mi viene da sorridere. Ricerco il due da troppo tempo e ho perso il conto dei fallimenti, delle labbra appoggiate ai bicchieri e del mio ciuffo ormai troppo corto.

C’è tutto un desiderio di gioia qui dentro che ci starei ore a guardarti e non m’importa nulla di uscire, di occupare il giorno nella tela degli incontri, il cinematografo e la festa del momento. Non ho interesse per la contemporaneità ti dico e non mi degni degli occhi e mi rimandi alla finestra a guardare tutto ancora una volta da fuori. Non ho mai invidiato chi gioca con le tue piccole labbra, faccio attenzione al ritmo del tuo cuore così provo a zittire il mondo e per cercare il suono; lascio perdere tutto il resto.

O andare o andare, restare non ha nessun senso, me lo ripeto da anni e invece vorrei tenere tutto sotto controllo e lasciare all’immaginazione tutti i viaggi. Che ne è delle mie bandane e delle estati trascorse a cellulare spento. Dove è finita tutta la mia riservatezza? Sono in vetrina da chissà quanto e polvere nel mio ombelico e polvere sui miei capelli e polvere tu non sarai quando ritornerai.

Gli amici, lo vedi da te, si fanno grandi, hanno anelli sul dito e automobili nuove da portare all’autolavaggio la domenica. Pargoli per gli esercizi delle braccia, si impara ad amare da grandi quando si comprende perché la terra gira intorno al sole.

Quando finiscono i film è come la fine di un ballo, lasciamo perdere le parole e ci chiudiamo nel bagno per dar sollievo alla vescica. Non mi interessa più piacere agli altri, mi dici, non mi interessano le fotografie e nemmeno le cover dei cellulari.

Ci immagini noi su un aereo, una maglietta e dei bermuda, prendere un autobus con lo zaino in spalla, indossare un Casio e dimenticarci del web perché abbiamo orizzonti e passi e strada e letti da rifare e sacchi a pelo da comprare a poco prezzo e correre il rischio della dissenteria, aver fretta di svegliarsi al mattino per vedere il nuovo, i fenicotteri rosa dei grandi laghi e i geyser che sbuffano prima dell’alba.

Quando allungo le labbra e faccio puff mi prendi in giro, dici che sembro francese. Abbiamo nei che si ricorrono e sogni di fuga. Qui è diventata tutta routine, anche mangiare una pizza, sorseggiare una birra. Vorrei che fossimo a nostro agio non dico nudi, ma ricoperti di stelle e rami e ululati di gufi e topolini di campagna a bussarci alla porta.

E il nostro fare l’amore non sia sfogo ma celebrazione dei giorni, per tutti gli amanti delusi e la tristezza del non essere accolti. Per il tuo bagaglio leggere le mie mani rovinate. Chiameremo nostri i domani soltanto quando rinunceremo al mondo. Perché allora guadagneremo il gusto dell’essere noi, qui, presenti a noi stessi, senza specchi o gatti che fanno le fusa sotto gli armadi e cani che rincorrono le nostre noie. Ti salverò, mi hai scritto sulla mano. E non capivi che la salvezza si era già compiuta.

Foto: Eleanor Hardwick

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Tu, io.

Eravamo partiti perché qui non ci stavamo mica bene, c’eravamo detti ci sarà qualcosa oltre l’ovest. Quando conoscemmo l’ovest provammo a metterci un dito in bocca, a bagnarlo di saliva, a metterlo in culo al cielo per sentire la direzione dei venti dell’est. E così siamo ripartiti. Mi leggevi Il mago di Oz quando mi sono ricordato del profumo delle tue camicie azzurre, di quando appoggiavo la testa stanca sul tuo cuore e sentivo il battito metallico della tua valvola artificiale. I film con gli spari. La tua sedia preferita. Te lo ricordi quando disegnavi per me i leoni? Così sono partito per le Afriche, e i leoni non li ho visti perché al mio ritorno non c’eri più e a chi avrei potuto raccontarlo? Per quando ci siamo seduti davanti al lago e tu lanciavi i sassi di taglio, mi hai detto quando qualcuno ti offre dei soldi accettali e poi mi hai insegnato come tenere il coltello per fare la punta ai bastoni e combattere con la terra. Per il tuo ultimo viaggio hai aperto il portafogli e non ho accettato carta, volevo i tuoi occhi, ma erano già altrove. Sui sentieri terrosi dell’oggi tengo presente il tuo passo. I tuoi occhiali grandi. I cappotti Burberry che mi stanno larghi. Cammino ancora, verso sud questa volta, a esplorare la debolezza della mia carne, avresti molto da confidarmi. Verso sud. Lo zaino leggero per quando tornano i ricordi.

 

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Amore salvami

Amore salvami sembra una canzone di Dente. In quella fase della nostra storia eravamo belli che eravamo entusiasti mi hai detto ma non lo sapevamo ho detto io lo sapevamo eccome hai detto tu. Che volevamo cambiare tutto e nei libri di Melville le citazioni: i luoghi veri non sono segnati su nessuna carta geografica. E non è poi così vero, sai? Che io me li ricordo; le carte d’identità i nomi e cognomi e le fotografie che ci siamo dimenticati di sviluppare. E non sapevamo dove stavamo andando e abbiamo circumnavigato le nostre ansie da prestazione l’Africa e poi il Sud America che cercavamo fortuna e trovavamo noi. Come quella sera che ho preferito il latte caldo alla birra e tu mi hai detto sei pazzo, ma eravamo a 4000 metri e bastano le altezze a darci alla testa. I viaggi interstellari sui bus notturni sulla strada che separa Milano e la Libia mettiamo gli occhi nel liquido delle lenti a contatto e al mattino cambiamo traguardi. E poi con te i silenzi non sono mai un problema ce lo siamo detti appena svegli sulle guance i segni di quella notte vissuta di sorsi la spogliarellista del nord Italia aveva rotto la bicicletta e l’avevamo portata in spalla il tragitto poetico del deserto con la luce della luna che non è mai abbastanza poi si è abbassata le mutandine ha detto guardate avanti e ha tirato fuori una torcia e sulla strada abbiamo proiettato i nostri contorni e sulle amache parlavamo del viaggio che senso ha se tu solo ti salvi? Amore salvami. Dovremmo menarlo di meno e schizzare vita di fuori e smettercela di tirarci per le magliette lise che poi si rompono. Se non ti piace il colore dei miei occhi non posso cambiarlo non è colpa mia. E poi su ebay ho ordinato due bacchette da rabdomante e un Tom Tom per perderci e poi tornare indietro e se chiudi gli occhi e ti fidi e se ci credi scaveremo fino in fondo le mani sporche e troveremo l’acqua e allora sì che mi permetterai di schizzarti in faccia vita e faremo docce all’aperto che nudi siamo più belli che siamo due e non siamo altro che questi.

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