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Ci immagini noi

E pregare, sì, pregare. Alzare le braccia al cielo, la faccia coperta di terra e saliva sul cuscino. Specchiarsi per non ritrovarsi. L’occhio tumefatto e le guance scavate. Ciuffi di pelo sulla pancia e nessuna maniglia a cui aggrapparsi per risalire.

Vestiti soltanto di un pigiama troppo largo e a righe, il divano come unico approdo e la televisione sempre accesa. Il frigorifero lasciato aperto e nessun segno di vita di fuori.

Celebrare l’oggi come le vedove che santificano i giorni. Nei riti del caffè annegare tutto quanto è stato e dimenticarsi di telefonare ai tuoi cari. Se c’è qualcuno che compie gli anni storcere il naso, noi ancora qui che misuriamo il tempo quando invece abbiamo bisogno di spazio. Spazio per andare e spazio per lasciarci andare. Immagino tu che ti gratti il naso e mi viene da sorridere. Ricerco il due da troppo tempo e ho perso il conto dei fallimenti, delle labbra appoggiate ai bicchieri e del mio ciuffo ormai troppo corto.

C’è tutto un desiderio di gioia qui dentro che ci starei ore a guardarti e non m’importa nulla di uscire, di occupare il giorno nella tela degli incontri, il cinematografo e la festa del momento. Non ho interesse per la contemporaneità ti dico e non mi degni degli occhi e mi rimandi alla finestra a guardare tutto ancora una volta da fuori. Non ho mai invidiato chi gioca con le tue piccole labbra, faccio attenzione al ritmo del tuo cuore così provo a zittire il mondo e per cercare il suono; lascio perdere tutto il resto.

O andare o andare, restare non ha nessun senso, me lo ripeto da anni e invece vorrei tenere tutto sotto controllo e lasciare all’immaginazione tutti i viaggi. Che ne è delle mie bandane e delle estati trascorse a cellulare spento. Dove è finita tutta la mia riservatezza? Sono in vetrina da chissà quanto e polvere nel mio ombelico e polvere sui miei capelli e polvere tu non sarai quando ritornerai.

Gli amici, lo vedi da te, si fanno grandi, hanno anelli sul dito e automobili nuove da portare all’autolavaggio la domenica. Pargoli per gli esercizi delle braccia, si impara ad amare da grandi quando si comprende perché la terra gira intorno al sole.

Quando finiscono i film è come la fine di un ballo, lasciamo perdere le parole e ci chiudiamo nel bagno per dar sollievo alla vescica. Non mi interessa più piacere agli altri, mi dici, non mi interessano le fotografie e nemmeno le cover dei cellulari.

Ci immagini noi su un aereo, una maglietta e dei bermuda, prendere un autobus con lo zaino in spalla, indossare un Casio e dimenticarci del web perché abbiamo orizzonti e passi e strada e letti da rifare e sacchi a pelo da comprare a poco prezzo e correre il rischio della dissenteria, aver fretta di svegliarsi al mattino per vedere il nuovo, i fenicotteri rosa dei grandi laghi e i geyser che sbuffano prima dell’alba.

Quando allungo le labbra e faccio puff mi prendi in giro, dici che sembro francese. Abbiamo nei che si ricorrono e sogni di fuga. Qui è diventata tutta routine, anche mangiare una pizza, sorseggiare una birra. Vorrei che fossimo a nostro agio non dico nudi, ma ricoperti di stelle e rami e ululati di gufi e topolini di campagna a bussarci alla porta.

E il nostro fare l’amore non sia sfogo ma celebrazione dei giorni, per tutti gli amanti delusi e la tristezza del non essere accolti. Per il tuo bagaglio leggere le mie mani rovinate. Chiameremo nostri i domani soltanto quando rinunceremo al mondo. Perché allora guadagneremo il gusto dell’essere noi, qui, presenti a noi stessi, senza specchi o gatti che fanno le fusa sotto gli armadi e cani che rincorrono le nostre noie. Ti salverò, mi hai scritto sulla mano. E non capivi che la salvezza si era già compiuta.

Foto: Eleanor Hardwick

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Te li ricordi gli Uniposca sugli zaini Invicta?

Parlarti dell’amore come di un lungo silenzio come si fa con le persone che non abbiamo mai conosciuto e non sono famose perché se lo fossero gli avremmo lanciato addosso tutte le nostre smorfie del pregiudizio e avremmo confuso la bellezza con le passerelle, coi palchi dei grandi forum nelle pause tra le partite di basket. Hai mai pensato agli sguardi in metropolitana come a dei proiettili che si rifugiano nei nostri stomaci solo per qualche secondo prima di vomitare un altro aiuto al tempo, per non arrivare in ritardo agli appuntamenti coi nostri letti ancora sfatti che al mattino non abbiamo voglia. E sorprenderci nel dopocena a chiederci se abbiamo cenato e che cosa avremo poi mangiato che trafitti di pensieri scordiamo le pupille tra la lingua e lasciamo i sapori alle etichette colorate dei sughi pronti e delle scatolette. Se ci pensi bene non ci parlano più delle guerre. Che c’è un periodo per ogni cosa. Ora è tempo d’inseguimenti e cinture strette coi poliziotti che prendono in mano le pistole perché a portarle in giro tutti i giorni poi ti vien voglia di usarle che è per quello che non compro più le sigarette. Quando ho smesso di fumare sono ingrassato molto ed evitavo gli specchi che i bagni dei locali pubblici erano sempre un problema. Mi hanno detto che sarebbe meglio dimenticarti, ma il pennarello indelebile non si cancella coi pianti e nemmeno con l’alcool, te li ricordi gli Uniposca sugli zaini Invicta? Ci avevo scritto W i Queen e AC/DC col fulmine al centro come a dire che mi stava piovendo addosso l’adolescenza, ma tardano i soli e la mia pelle è bianca, bianca come i fazzoletti che sventolano gli arresi. Vorrei soffiarti tra le guance per donarti coraggio e prendere lo scivolo della tua schiena per la rincorsa, il volo sulla luna per recuperare i sentimenti, le ampolle chiuse e l’unicorno bianco e come Astolfo girarmi di scatto e trovare scritto il tuo nome.

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