Archivi tag: università

Il pugno chiuso e le manifestazioni delle adolescenze.

Gli studenti e il kabap delle dieci del mattino, le colazioni dei campioni d’Italia e gli scudetti cuciti sugli zaini. E con le tag diamo calci alle nostre identità ancora fragili che hanno bisogno di mura solide e lacche spray. I nostri ciuffi per le ribellioni e lo scontro con l’altro sesso, i braccio di ferro a colpi di lingua e il solco tra i pantaloni elasticizzati della nostra compagna di banco. Le strade chiuse per la libertà di parola e macchine della polizia con le luci accese, il blu dei tuoi occhi lo dimentico per qualche ora mentre le strisce pedonali non servono più, mi innervosiscono i commenti sui programmi tivù e la bruttezza esibita della commessa, lo scontrino e l’ennesimo caffè a storcermi la bocca. Mentre imperversano le manifestazioni, questi studenti che imparano a indurire il volto e a farne schermo. La massa che elemosina musica e spazio per lo squilibrio ormonale e le eruzioni cutanee. Dagli altoparlanti la primavera di Praga e le ballate di Cuba tratte dai canzonieri Scout. Sempre la stessa musica, le orecchie abituate alle urla che per le cospirazioni ricordiamo i sussurri e l’onda anomala non la vedi finché non ti travolge. Al coro di libri gratis, vergogna e lavoro per tutti sorridono le bocche delle vecchiette ancora sporche delle brioches di Maria Antonietta. E mentre il Negramaro pubblica pagine sul disagio dei giovani d’oggi e la smania d’amore dei più, ti allacci una scarpa e togli la polvere dal risvolto dei jeans. Ti siedi sui gradini fuori dai negozi chiusi, e sotto il cartello svendita totale, cedesi attività non puoi che farti abbagliare da quelle voci acerbe, le barbe appena accennate e le sciarpe lasciate annodare al caso, i dread che non ho mai avuto il coraggio di fare e i baci arruffati di queste adolescenze in gemme, per lo sbocciare della passione che o ce l’hai o non ce l’hai. E si comincia da piccoli. Perché la vita scorre ed è troppo facile ridurla a un’alzata di spalle, le derive nichiliste dell’esperienza. Aspetto le rughe e fortifico lo sguardo. E poi mi sporgo alla finestra, il pugno chiuso, come Kim Ki Duk a Venezia, la mia nenia infantile che si perde nell’aria.

Contrassegnato da tag , , , , , , , , ,

I moti rivoluzionari dei giovani oggi. Ex Cuem e Macao.

Disprezzo i giovani di questi ultimi trent’anni. Tutto il lager schiamazzante delle rivolte studentesche. Questa sciagurata età (tutt’altro che oisive) pericolosamente volitiva. Mummie foruncolose e imbellettate che, con la scusa di rivendicare e accattonare un mutamento, una riforma o altro, nidificano nell’autoconservazione. Questa perpetua assemblea è il confort della bestialità del branco. Di giovinazzi e giovinazze che, invece di sequestrare se stessi, “desiderando” (è l’etimo di “studio”) e progettando in tutto privato, s’illudono di “okkupare” una scuola pubblica allo scopo cretinissimo di conferirle “dignità” ed “efficacia” innovativa. 

Le parole di Carmelo Bene appese alle grondaie, la licenziosità consumata di certe bandiere arcobaleno e i balconi ospiti delle sigarette e dei caffè del dopopranzo.

Le giovini italie radunate in manipoli e le case aperte di stampo rosso. La privatizzazione dello spazio intimo e quelle aperture insalubri del mese d’ottobre. Vuoi dirmelo ora che senso ha occupare una libertà? La democrazia rappresentativa per l’elezione delle nostre pulsioni primarie e la ricerca spasmodica delle mani vergini. Esperire avrà mai a che fare con la speranza? E nel sacchetto della spazzatura i libri rossi e il vocabolario del ’68, guardate ora che ne è dei rivoluzionari.

I moti del carbonio per la scoperta delle nostre interiorità e poi le prime conoscenze e il desiderio di raccontarsi, non siamo soli e il nostro urlo non è deserto. Risuonano i nostri avvisi sulle bacheche, cerco un rimedio alla solitudine, telefonami o avvisami, domandami ancora il perché di tutte le nostre riunioni infinite.

Contro l’ignavia e i poteri forti. Contro la banalità delle potenze. Per la nostra retorica personale e i modelli di quarant’anni fa. Come con la moda utilizziamo i sacri verba delle foto in bianco e nero, le barbe lunghe e i parka, quell’eskimo prima innocente e poi simbolo.

Ora che l’Unità è soltanto un quotidiano. Ora che le case editrici confondono i loro fondatori. Ora che il tempo non si è fermato ci ritroviamo ancora in piazza a chiederci dove stiamo andando. E poi partiamo con le manifestazioni: lo stesso tragitto, le stesse musiche, gli stessi slogan. Hai voglia a confonderti e a tornare a casa col petto in fuori, per l’imbecillità dei più la tua rivolta collettiva e poi un domani che fare? Una casa, un lavoro.

E mentre tutto ti preoccupa decidi di okkupare e ci metti una k così che suoni diverso. Diverso da chi. Le tue tavole rotonde e l’accettazione della diversità senza domande. Fare e fare e poi rifare col pensiero confezionato degli altri. Inventiamo nuovi packaging per la fruizione dei più. E quando diventiamo troppi qualcosa non va. Che siamo noi, indie o comunisti, fascisti o soltanto idealisti. Ma noi, abbiamo bisogno di creare recinti come si fa coi pomodori perché per crescere bisogna difendersi. Ma gli ortaggi si danno in pasto ai più e non marciscono in proteste.

La realtà santa dell’offrire. Macao regala spazio e tavola rotonda. E gli studenti della Statale difendono l’ex Cuem, baluardo e simbolo dell’ottusa gestione delle risorse e delle proprietà pubbliche, vuoi dirmi ora perché anche i cattolici si raggruppano in movimenti? Vuoi dirmi come puoi difendere una povertà quando ti preoccupa il numero?

Il mio assistere imbelle e le mie giacche troppo lunghe. Cadono dalle mie maniche i discorsi che non so fare e i microfoni che non so impugnare.

La vita attiva e la vita contemplativa. Si è giovani una volta e più, la strada, il branco, il pranzo sociale e poi il ritiro, la quiete il pensiero. Per far prendere aria all’eskimo di papà e tornare nuovi. Un vocabolario e parole per bocche che sono stanche di stare nel nido e allungare il collo. Stanche di occupare gli spazi consumati degli altri e poi volare e poi tornare a primavera. Quando saremo capaci di costruire, non demolire. E per l’occupazione delle nostre coscienze saremo critici e reali, una mano al cielo e il piede alla terra. Che non si vola senza rincorsa e non si cresce senza modelli. E allora taccio e ritorno al Bene, e non saremo giornalisti frigidi e impermeabili, dai pezzi incorporati nel cinismo degli sguardi dall’alto. Saremo condor e cormorani, annunceremo il Leviathan e come tanti Achab saliremo sui ponti. E non parleremo e ci guarderemo negli occhi, basterà un cenno. La grande balena farà un balzo e saremo pronti a cacciarla. Per poi lasciare il mare e far ritorno alla terra.

Foto: Alberto Burri, Rosso.

Contrassegnato da tag , , , , , , , , , , , ,

Orari

E scrivi Make school not war sugli edifici dell’università statale per gli studenti nei chiostri delle aspirazioni, le esalazioni lisergiche dell’italiano della Crusca. In tasca portiamo i biglietti per l’Europa che se ti faccio paura è perché non parliamo lo stesso linguaggio. Dovremmo regalarci degli orologi fermi io e te, darci il tempo per evitarci il tempo per accarezzarci con le lancette fragili e i nostri orari rigidi. Quando mi hai detto l’hai letto l’Ecclesiaste e ho pensato a un fumetto dark. Con questi vestiti di nebbia, prima della sera, confondiamo gli orari e tu tu tu tu tu questi telefoni non suonano mai.

Contrassegnato da tag , , , , , ,