Come quella volta che diceva Bud e quella volta io dicevo Cla e lui diceva Rik coi giornali della provincia per rimboccarci le gambe. Coi discorsi sugli amici storici emigrati all’estero senza avvisare. Ed io me ne stavo zitto a ciucciarmi il terzo rosso della serata in una latteria di provincia che consegna il latte a casa alle vecchie e munge i cani prima di investirli.
E ottobre che corre a più non posso col freddo che lo insegue per rubargli le foglie.
E i pezzi di pane col salame , il lardo andato a male e i colonnati bianco sporco e i bagni senza chiave e noi a parlare di Berlino, Dublino e del cibo di Honk Hong che chissàpoicomesiscrive e pagare dieci euro in resti mancia, un caffè nero Balotelli e un amaro dolce chissapoiperché.
E non avere sonno mai.
Non diventare grandi mai.
E io devo lavorare addio non crescerete più.
E io c’ho da fare e intanto vai a scopare e noi soli e senza tetto e noi soli e senza un letto.
Facciamo i matti usciti dai manicomi, ci accompagniamo a negri, prostitute e preti e padri e figli cheerleaders con madri ponpon.
E la macchina la prendi tu che tanto non bevi più.
E tu non ce l’hai mai che tuo padre lavora per Sky.
E Milano da bene e Milano da bere e i nostri autostop vestiti male.
E in discoteca non ci fanno ballare e all’Hollywood non ci vogliamo entrare meglio sarebbe un centro sociale.
Se è chiuso o aperto non lo so. Caricati la macchina addosso e accendi, andremo e vedremo. E dammi da fumare come non ho fatto mai e fammi tossire o sputare.
Parcheggia là tra un barbone e una sigaretta per intossicarci le dita.
Che la pioggia si è fermata un poco a riposare tra le braccia delle gru.
E un cinque euro arrotolato per entrare, cascina Torchiera senz’acqua, che i comuni tagliano mentre le madri invecchiano. E gli slogan di sinistra e i murales visti in troppi posti e Milano dabbene andata a farsi benedire tra le rotaie dei treni.
E i poster del teatro, gli Artaud e il festival condominiale coi clown in divisa.
Vivisezioniamo i volantini che gli animali non nasceranno più.
Cosa resterà di questi anni zero.
C’è un palchetto poco lontano. Ci appollaiamo sotto come tante galline siamesi.
Cominciano a suonare gli scarichi delle auto blu, esce una tipa in tutu e i nostri cellulari si illuminano al posto delle stelle.
Birra Menabrea, lattine e testi scarsi.
I fili tesi tra gli impianti da rottamare. Le casse a palla che ti vien voglia di ballare.
Questa notte è ancora nostra diciamo noi e non andiamocene via che chi si astiene è ladro o spia.
E il batterista col capello lungo e il pettine a scandagliargli le vene e il fumo del nero, nero come i roghi degli zingari della stazione. Le stelle primitive e il Primitivo a sorsi.
E benedetta la notte che ci fa sudare e il camino che ci fa ghiacciare.
Shine on your crazy die… e il batterista nudo e i suoi compagni a urlarci negli occhi a farci ballare il fegato e a tenerci ancora in piedi.
E poi il falò per riprendersi dal sonno e le casse continuano a bruciare, le casse continuano a suonare.
E io e tu e questo cielo che non è più blu.
E sei vestita di righe che sembri in pigiama e una spalla fuori ed una sottobraccio per proteggerti.
Le tue amiche grasse. E i movimenti di bacino e la birra che ti bagna le labbra e poi ti sporca un po’.
E io al falò, a scaldarmi i guanti e a mordermi le mani, a farmi i sogni erotici con le pagine dei giornali da bruciare.
E il senegalese più magro che abbia mai visto che mi offre il nero.
E il fighetto milanese che chiede la carità.
E intanto tu muovi quel cazzo di culo e fai arrapare i pavimenti che non riescono a toccarti anche se si sforzano.
Che fine abbiamo fatto noi?
Italia-Spagna al calcetto 1 a 9, che il 10 è della fantasia, dei Diego, i Maradona e così sia.
Io e le parole che non ti ho detto mai, io, te e i miei guai.
Non fatto per farti ballare, non fatto per farti fumare.
Fatto per farti guardare. E guardami, non ti girare, non t’ arrapare.
E ancora i falò a bruciarsi i miei testi di ieri e i miei discorsi di domani.
Con l’oggi a rincorrermi e a chiederti: “Posso guardarti?” ed un tuo sì tra i denti scadenti come le birre Lidl.
E poi ancora musica, con i ministri del rock e i baroni del beat, e io che bevo birra e campo cent’anni e tu che esci sfatta dalla tua spalla nuda: “Usciamo insieme, oggi, domani o dopodomani” che giorni così non torneranno più.
E il tuo numero disegnato come un’etichetta e i tasti del mio cellulare troppo lenti e le tue parole poco chiare dammi da bere e fammi ballare.
Volti la sciarpa e te ne vai che forse non tornerai mai.
E ora caghino pure i barboni là fuori e si perdano i tram che ho la forza per correre la millemiglia.
Un tesoro in forma di numeri da chiamare mentre le coppie rovinano le sospensioni.
I capelli li porti male e il tuo naso mi fa tremare.
E buonanotte ai suonatori.
E buonanotte agli avventori.
E fuori a pisciare tra i copertoni, a prenderci i fulmini e spingerceli in gola.
Con le pizzette nei forni troppo mattinieri.
Le risate a forma di sigaretta che questa notte è ancora nostra.
Io a casa mia e tu a casa tua.
Non ho la forza per pensarti, non ho la forza per toccarmi.
E vomitare rosso come il vino. E asciugarsi le lacrime bianche e lavarsi i denti neri.
E poi la notte, il sonno e l’erezione mattutina come sveglia.
Svegliarsi nella ciotola del latte scaduto.
Gallette di riso e marmellata per iniziare la giornata.
Che fine abbiamo fatto noi?
Che Bud dorme di là.
Cla da mamma e papà.
Rick lontano dove non si sa.
E tu dove sarai.
Copriti la spalla che prendi freddo.
Bevi che prendi sonno.
Spegnersi in un Guccini andato a male.
Vedi cara è così facile.
E ti ho dimenticato. Era solo una notte d’un inverno passato.
Ora inseguo una casa di ringhiera. Due labbra belle. Un’incomprensibile silenzio.
E ti ho dimenticato. Era solo una notte d’un inverno passato.