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A William Seward Burroughs nell’anniversario della sua nascita

Rimanere immobili è pericoloso, dicevi, tu che immobile non ci sei rimasto. Tu che hai fatto di tutto rendendo ogni lavoro degno del tempo, dell’attenzione. Senza borie vane, senza regola, né pensiero rivolto a futuri lontani.

Erano altri tempi, certo, non preoccuparsi del precariato perché c’era sempre bisogno di fare. Così a volte te ne andavi sulla spiaggia, là, a Essaouira, e ti riempivi le vene. Tu ti facevi per le strade della provincia d’America, nei cessi dei locali al suono del bebop e tra le gambe pelose di qualche amico.

Ti spogliavi con la naturalezza di chi cambia abito ogni giorno e usa il corpo come un appendino, nessuna paura del contatto fisico, nessun timore per l’esposizione al sole del giudizio. Così ti facevi, anche grande, ammettiamolo, e diventavi noto e stimato e frequentavi i salotti, sposavi donne per gentilezza o per la passione comune alle droghe, lasciavi il loro letto vuoto frequentando le schiene robuste degli uomini dei bassifondi. Chissà a quale dio ti rivolgevi col laccio emostatico e la siringa, i cucchiai sempre caldi e nessun brodo per sera, soltanto rituali per godimenti estatici e fuggivi.

Tutto è dolore e consapevolezza, e ti mettevi a scrivere e ti rivoltavi di barba e di ossa, non c’era tempo per sorrisi prolungati e gioie grandi, schiamazzi e grida, e dopo ogni fuga un’altra occasione da creare, un rischio da correre. Uccidesti tua moglie giocando a fare il Guglielmo Tell, nessuno se ne accorse, nessuno t’accusò, sapevi amare? Te ne sei andato rincorrendo canoe e carta, giù in Sud America e poi fino a Tangeri, il nero del Marocco, le case vuote e il fumo denso prima di prendere sonno, gli hammam per consumare l’amore.

Poi sulla spiaggia, sulla spiaggia ancora, tutto ci porta là, l’incontro con Jack e tu, fottuta pecora nera, drogato, frocio di buona famiglia, nel tempo che non chiede conti e porta falò per bruciare rimorsi, prendevi i tuoi scritti, cara grazia gli amici, e li mettevi insieme, ne usciva Pasto Nudo, lo pubblicarono e tu fosti famoso, mai indipendente.

I soldi della famiglia, perché dire no a chi tutto può. Così Parigi è un istante, tra le elite parigine non devi svelare molto, basta il vestito, il modo cortese, il fare arrogante. Tutto d’un pezzo, mai così diviso. Il tuo corpo si faceva più fine, i tuoi occhi più lunghi, il tuo culo, oh, ne parlavi sempre e nessuno ti ha mai detto di smetterla con la roba. Sacra lei più dell’alcool, i tuoi rituali, la tua spiritualità così ammirevole, sapevi tutto anche dei Maya.

Non lavoravi quasi più, chi non lavora pensa e contesta, lo sai, lo sappiamo entrambi perché affogavi le tue notti, imparavi, imparavi soltanto, non solo per necessità, ma per scelta, ti trascinavi qua e là soltanto per vedere cosa succedeva. E succedeva. Amavi il bardo Shakespeare, chissà com’è, chissà perché, raccontava storie, scomponeva la vita per poi ricomporla, tu invece, noi, beh, noi, che fine abbiamo fatto noi? Noi che eravamo disperati e felici, disperati e felici.

Rimpiangiamo il passato e sentiamo ancora il richiamo della strada, l’ululato del cane e le grida invadenti, là al tavolo ci sono le ragazze, vieni con noi, William? Certo, amico, non vorrai lasciarmi qui, solo, in compagnia delle foto bianche che mi ritraggono sempre più magro, sempre più solo. La mia malinconia, non si era soli allora, mai, e invece adesso? Si scrivono romanzi e finiscono sempre bene.

william-burroughs-london-1988

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Sotto ai maglioni invernali

E facciamole cadere queste stelle, modificare così un Filippo Timi che scriveva anni fa per Fandango. Non ci ho pensato, sai? Mi è venuta fuori di slancio, tutta colpa di Jack Kerouac che ci credeva in una casa felice, in una vita sensata, nel buon cibo, nei bei tempi, nel lavoro, nella fiducia e nella speranza. Ma era una delle poche persone al mondo che inseguiva davvero questo bel vivere senza andarsene in giro a trasformarlo in una specie di mezza filosofia borghese. Così alla fine gli è rimasta in mano soltanto una manciata di stelle, non dice mai se poi questi astri li ha lanciati o li ha soltanto custoditi per sempre traducendoli in parole. Lasciamole cadere diceva Filippo, lasciamoci illuminare dagli schianti, dai soli notturni che ci sorprendono quando fumiamo sulle terrazze.

Sai che ti dico? Lontano da qui, nell’ora più luminosa del pomeriggio, è nata tra i capelli neri un’infanta, figlia cadetta di un amore bello. Con tutte la paure lacrimate via in un giorno chiaro di gennaio, i collegamenti via web non regalano dignità agli abbracci e alle parole liete che fuoriescono dalle nostre gole nostalgiche gonfie di vino e caffè. I pugnetti a incorniciare le guance e una voce che non è ancora voce: vagito e richiamo. Labbra che chiedono vita e capezzoli e amore che gaio non sa trovar forme. Tutto questa confusione che s’infila sotto i maglioni invernali, gli incontri impensabili e i passi del ritorno a casa, le soste a guardare finestre illuminate e i versi degli uccelli nascosti tra i rami degli alberi. Tutte queste novità che non ci fanno chiudere gli occhi e le domande da tenere lontane, le candele che si spengono troppo in fretta e una pioggia leggera a risvegliare il volto.

E come in quel film con Vincent Gallo e i capelli lunghissimi mi ripetevo di non baciarti e ti tenevo sulle gambe come si fa con le bambole. Ti sussurravo quei c’era una volta che ci siamo dimenticati troppo in fretta e mi guardavi come si guardano le navi quando si allontanano, nessuna malinconia, soltanto il gusto di prendere il largo e immaginare orizzonti.

Così la notte si presenta più debole mentre i miei pensieri fanno luce sugli incontri, dicono evviva e invocano gioia. Dalle finestre chiuse, dalle piante verdi che s’arrampicano tra i balconi e aspettano i fiori della primavera. Ecco, l’attesa, non è soltanto una sofferenza, ma esplode come i geyser soltanto al mattino presto, il bavero alzato, e la brina che sfuma l’erba dei campi e nelle città lascia soltanto un profumo che i più non colgono, come quei fiori che porti tra i capelli, i denti di leone che si preparano al soffio per restare nudi, solo che non te ne accorgi, solo che non te ne accorgi.

Foto: dalla rete.

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