Rimanere immobili è pericoloso, dicevi, tu che immobile non ci sei rimasto. Tu che hai fatto di tutto rendendo ogni lavoro degno del tempo, dell’attenzione. Senza borie vane, senza regola, né pensiero rivolto a futuri lontani.
Erano altri tempi, certo, non preoccuparsi del precariato perché c’era sempre bisogno di fare. Così a volte te ne andavi sulla spiaggia, là, a Essaouira, e ti riempivi le vene. Tu ti facevi per le strade della provincia d’America, nei cessi dei locali al suono del bebop e tra le gambe pelose di qualche amico.
Ti spogliavi con la naturalezza di chi cambia abito ogni giorno e usa il corpo come un appendino, nessuna paura del contatto fisico, nessun timore per l’esposizione al sole del giudizio. Così ti facevi, anche grande, ammettiamolo, e diventavi noto e stimato e frequentavi i salotti, sposavi donne per gentilezza o per la passione comune alle droghe, lasciavi il loro letto vuoto frequentando le schiene robuste degli uomini dei bassifondi. Chissà a quale dio ti rivolgevi col laccio emostatico e la siringa, i cucchiai sempre caldi e nessun brodo per sera, soltanto rituali per godimenti estatici e fuggivi.
Tutto è dolore e consapevolezza, e ti mettevi a scrivere e ti rivoltavi di barba e di ossa, non c’era tempo per sorrisi prolungati e gioie grandi, schiamazzi e grida, e dopo ogni fuga un’altra occasione da creare, un rischio da correre. Uccidesti tua moglie giocando a fare il Guglielmo Tell, nessuno se ne accorse, nessuno t’accusò, sapevi amare? Te ne sei andato rincorrendo canoe e carta, giù in Sud America e poi fino a Tangeri, il nero del Marocco, le case vuote e il fumo denso prima di prendere sonno, gli hammam per consumare l’amore.
Poi sulla spiaggia, sulla spiaggia ancora, tutto ci porta là, l’incontro con Jack e tu, fottuta pecora nera, drogato, frocio di buona famiglia, nel tempo che non chiede conti e porta falò per bruciare rimorsi, prendevi i tuoi scritti, cara grazia gli amici, e li mettevi insieme, ne usciva Pasto Nudo, lo pubblicarono e tu fosti famoso, mai indipendente.
I soldi della famiglia, perché dire no a chi tutto può. Così Parigi è un istante, tra le elite parigine non devi svelare molto, basta il vestito, il modo cortese, il fare arrogante. Tutto d’un pezzo, mai così diviso. Il tuo corpo si faceva più fine, i tuoi occhi più lunghi, il tuo culo, oh, ne parlavi sempre e nessuno ti ha mai detto di smetterla con la roba. Sacra lei più dell’alcool, i tuoi rituali, la tua spiritualità così ammirevole, sapevi tutto anche dei Maya.
Non lavoravi quasi più, chi non lavora pensa e contesta, lo sai, lo sappiamo entrambi perché affogavi le tue notti, imparavi, imparavi soltanto, non solo per necessità, ma per scelta, ti trascinavi qua e là soltanto per vedere cosa succedeva. E succedeva. Amavi il bardo Shakespeare, chissà com’è, chissà perché, raccontava storie, scomponeva la vita per poi ricomporla, tu invece, noi, beh, noi, che fine abbiamo fatto noi? Noi che eravamo disperati e felici, disperati e felici.
Rimpiangiamo il passato e sentiamo ancora il richiamo della strada, l’ululato del cane e le grida invadenti, là al tavolo ci sono le ragazze, vieni con noi, William? Certo, amico, non vorrai lasciarmi qui, solo, in compagnia delle foto bianche che mi ritraggono sempre più magro, sempre più solo. La mia malinconia, non si era soli allora, mai, e invece adesso? Si scrivono romanzi e finiscono sempre bene.