Di chi ha dita così rovinate che sembra lavori nei campi o al bancone di un bar, che costruisca case e autostrade, invece no, è l’attesa che divora la carne e lacera i tessuti.
Così una goccia di sangue non è il passaggio all’età adulta, ma il girare intorno a se stessi che fa perdere la testa ed esplodere il cuore.
Hai voglia a prendere esempio dalle vite degli altri, non potrai vivere a lungo sull’è stato detto, andrà a finire che troverai uno specchio e ti chiederai ancora chi sei.
Mi dici che sono così noioso, che servirebbe uno shock di quelli forti che mi faccia dimenticare tutte le domande e mi trasformi in animale che non giudica gli istinti, ma li asseconda. Così se ti avvicino al muro, ti annuso i capelli, ti faccio girare e ti penetro da dietro dovrei dimenticarmi l’estetica, quella viene prima, ora è tempo di concentrarsi nell’estasi. Invece mi lancio in riflessioni come si fa col marmo liscio dei Rodin. E comincio a dirti che i quadri andrebbero trafugati alle fondazioni ed esposti alle pareti di case qualsiasi, mi guardi le spalle e mi chiedi: chi li ha inventati i musei? Così proviamo ancora a farci armonia, il mio ventre s’infrange contro al tuo come fanno i marosi. Tu sbrigli la lingua e citi l’espressionismo grottesco, io e le mie valvole in sussulto, poi il fischio lungo per tornare al porto.
Manca la musica, mi dici tu. Non la senti, rispondo io. Le parole rimbalzano tra i denti e melodie sul palato, che te ne fai dell’elettronica?
Faresti meglio a tradirti -mi lanci la maglietta, ti sistemi i capelli-, a prenderti meno sul serio. Io rido e stringo il cuscino, come i daini salto sul materasso, distendo le braccia, i palmi rivolti al cielo: dovrebbe piovere, le senti le prime gocce, vieni più vicina, salta anche tu, facciamoci branco. Ci pensi un poco, prendi la rincorsa e mi raggiungi, così a tuo agio nel nudo, così vicina che sembra Titanic, ti metti a ridere, certo che sei banale, sussurri. La senti la pioggia, una goccia, un’altra e una ancora, chiudi gli occhi, lascia che piova e poi fatti stringere, ti asciugherò i capelli più tardi, ora lasciati andare, finiremo per piangere o urlare noi che ancora sappiamo immaginare.
Foto: dalla rete.