Oltre la legge va la giustizia

Ci trovavamo intorno alla tavola. Il risotto alla monzese e il sollevamento della Concordia. Lo sai che il giglio è il fiore bianco della Madonna? E cercavamo futuri tra i capelli radi di un infante. Con la fortuna che non ci sono streghe a leggerci i fondi del caffè.

Rimandare i viaggi per i lavori saltuari e dire peccato, ci sono amicizie che mancano e bello sarebbe non avere limiti e creare i presenti, accordare il ritmo dei giorni a quello del cuore e non sentirsi il colpa per il volto appoggiato al cuscino. Tre biscotti in più a colazione e sei già fuori peso massimo. E mi dicevi finalmente anche tu come i più: un padrone, degli orari e uno stipendio. Quanto sarà che non lavori? E abbassavo il capo pronto a ricevere ceneri, che colpa abbiamo noi per questa necessità che ci spinge oltre alle contingenze? E attraverso il vetro del bicchiere modellavo la voce, mi sorprendevo ad alzare il tono, dicevo dovremmo ringraziare ogni giorno di alzarci presto e timbrare un cartellino. Così ci trovavamo ad annuire e timido usciva un: “Però non è giusto”. E davanti alla giustizia riempivo il bicchiere. Avrei voluto abbracciarti, ma sarebbe stato troppo, qualcuno non avrebbe capito. Che esiste una giustizia che va oltre la legge ce lo ripetiamo da giorni. E risultiamo così banali quando cominciamo a domandarci e poi chi l’ha inventato il lavoro, chi l’ha inventato il padrone? E’ tutta colpa della proprietà privata?

Così tiriamo in mezzo la parola borghesia, si parla di quel che si conosce, dico io. Apprezzi l’arte tu? Frequenti i musei? Hai il frigorifero di design? Ti concedi il lusso del bio? Il fascino orientale del vegan?

E rispondevi che distinguere la bellezza dal bisogno è quel che ci rende umani e mi infilavi in contropiede, in gol di punta sul primo palo, portiere battuto e stadio che esulta. Siamo così confusi quando si parla di noi così rifiutavi i dolci dicendo: non mi piace. Ci pensi mai a dove nascono i gusti? Hai voglia di un gelato?

Controllavamo le calorie domandandoci se è un gesto da proletari. Quanti fratelli hai tu? Coltivi la terra? E rispondevo che dovremmo inventare parole nuove e se proprio vogliamo usare quelle vecchie e sorpassate e avvezze al fraintendimento potrei dirti che il proletario è chi sa ancora scegliersi i giorni e ha coscienza del sé, chi conosce il compromesso e idealizza il futuro. E perché non un borghese? Usiamo i termini come bello e brutto, così personali che appena li pronunci ti domandi il perché. Dove la metti la passione, dicevi tu? Senza la borghesia l’arte non esisterebbe. E così chiederci se è necessaria, dei fondi statali e dei classici. Sai cosa penso? Dicevo io. Sarebbe già tanto sapere far architettura del bello, costruirci intorno lo spazio in cui vogliamo vivere. E togliere un po’ di pieni per dare spazio al pensiero. Noi come i piatti giapponesi, l’equilibrio estetico dei vuoti. Dovrei buttare un po’ di riviste? Che ne pensi di quei soprammobili?

Cominciamo a sparecchiare la tavola. Tre bicchieri e un cognac per mettere ordine a questa confusione.

Foto: dalla rete.

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