Davamo la colpa alla schiena per quelle notti trascorse accanto alle finestre. Il respiro nell’atto titanico dello sfondamento dei vetri e sigari ormai deformi sul davanzale.
Ci sono luci che non si spengono mai e mille strade che non ho mai attraversato. Sento il palpitare interminabile del viscere della terra e gli insegnamenti della scuola superiore ricoperti di alghe. L’odore incredibile del tuo collo bianchissimo e quel tuo viso che manca d’armonia.
Ho smesso di credere nell’amore uno a uno, che i pareggi non fanno vincere nessuna classifica, così l’universo ha bisogno di libertà vere.
E come un jeans troppo grande non veste bene senza una cintura così è della libertà, va stretta in vita e non lasciata andare, che si sporca col passo e perde d’eleganza.
Non più poesie solitarie in stanze d’albergo, non più canti delle ninne nanne nei carillon; ci vogliono madri dalla voce dolce e padri presenti. Poi zaini sulle spalle e una gobba accennata, che il peso non ha mai fatto male e diffido di chi corre col petto in fuori. Guardati ancora nudo allo specchio, rasa quel pelo, tra il pollice e l’indice il grasso in eccesso: l’imperfezione è una grazia che bisogna riconoscere.
E spazi aridi tra le orecchie per l’ascolto dei filantropi, che con Celine chiamo e richiamo grandi rompicoglioni. Trova il tempo per riposarti gli occhi e non credere ai numeri grandi e all’assenza delle differenze. Mentre a Milano crescono Festival Indipendenti e a Piacenza si radunano gli alpini pensi alla tradizione e alle rotture. E come Fontana intagliamo tele in cerca delle fessure per seminare nei nostri giardini le nostre idee di piccolo mondo, e poi metterci intorno recinti, noi che combattevamo la proprietà privata e citavamo Rosa Luxemburg, chi è quello? E’ uno dei nostri?
A nulla serve creare parole nuove e il cambiamento pensato dell’alzata di mano. Verranno le volpi nei nostri campi e ammazzeranno qualche gallina, vuoi ribellarti alla natura, tu? Tu che costruisci muri, tu che lanci parole al vento senza rispetto per gli ascoltatori?
Li senti i tuoi neuroni crepitare? Perché quell’ultimo spliff? Per arrivare fin qui a teorizzare sull’esistenza?
Mettiti sotto le coperte e abbraccia il cuscino, respira forte e sogna. Che magari è meglio. Che magari domani ti svegli e quando bevi il caffè sei contento. Poi fatti un video, così come sei, sette secondi, apri Photo Boot, clicchi registra, ti inquadri e dici: “Sono felice”, così magari tu ci credi, che a me non importa nulla.
E ora vieni a casa, suona, siediti a tavola, mangiamo, beviamo, e poi stiamo pure in silenzio, che abbiamo sostituito lo stare, col fare, e la felicità non fa, sta.
Foto: Jeff Wall