E ritrovarsi così deboli, negare certezze e opinioni, quando il gallo cantò tre volte.
Risalgo al volo dei corvi tra i tuoi capelli, alle strade lunghe della stazione Cadorna e alle redazioni dei giornali di moda. La frangia a incorniciarti il volto, la scuola d’Atene e il coltello di Fontana per gli spazi tra i tuoi denti da latte. Mentre ti svaghi su Candy Crash e regali le tue dodici e più vite a tutti gli altri, non c’è traccia di carta nella mia casella delle lettere.
Prima o poi arriverà una busta paga e mi vergognerò di versare denaro allo stato. Mentre capisco che non mi interessano i discorsi geniali e non ho curiosità alcuna nei pavoni del sapere. Mi toccano le relazioni, il profumo ingannevole delle scapole e il modo di guardare nel vuoto. Quando appoggi il pollice sulla guancia vedo il segno dei morsi, e cambi pelle per le stagioni che vuoi dimenticare.
E quando incontri la notorietà abbandona gli occhi sul davanzale dei denti, li troverai bianchissimi o marci di fumo, non c’è verità in quelle bocche sfatte.
Figlia mia, amante, abbi sempre paura di chi ti circonda il collo dopo cinque minuti di conoscenza, sorridi invece quando ti prendono sottobraccio.
Non c’è amore che scoppia come gli incendi che poi si faccia foresta, non c’è foresta che non sia prima stata gemma e pascolo.
E mentre impazza la fiera del libro mi trovo qui, la finestra chiusa, a ripararmi dagli schizzi di boria di chi s’affaccia al balcone del canale terzo. E predica sapienza scambiando la categoria del reale con quella dell’interesse.
Vorrei dirti che se ho perso tre chili non è perché mangio meglio. Vorrei installare una telecamera e contare il numero delle notti che mi rivolto nel letto. Dirti che ti cerco è così banale che potrei entrare negli smartphone degli adolescenti ora che ho i capelli rasati sui lati.
Qui tutto è pronto per la beatitudine, non resta che aspettare e prima o poi arriverà il grande giorno, quando i perché troveranno risposte e non avrò più bisogno di toccarti.
Foto: David LaChapelle
che bel leggere…