In fondo il pericolo sono i buoni, i buoni a tutto, i buoni a niente. Buoni con in piazza archi sorridenti, vestiti fini, modi gentili.
In superficie le tracce della belcostume: il buongiorno all’incontro, un inchino al saluto. E un’educazione spropositata coi sottoposti.
La viltà delle posizioni di testa, che evitano i tagli grossi e sparpagliano il fuoco delle parole sincere nei cessi dei bar e nell’attesa del verde davanti alle strisce pedonali.
I dolci comprati in pasticceria, le mance al cameriere e le cene ordinate sotto casa.
In fondo il pericolo sono i volontari: a disperdere la vita nei sorrisi degli altri, cercare il senso nelle dita tese, nei tamponi deboli alla sofferenza.
In fondo il pericolo sono i volti noti, la retorica della prima serata, le interviste possibili delle ventuno e trenta.
Prendimi per il bavero e dimmelo in faccia che la tua donna non la devo guardare, prendimi a pugni le guance e fammi nero, avrai così un motivo per sentirti diverso. Diverso da te. Coi tuoi desideri di possesso, il fascino immortale delle borse di Gucci e il mio zaino firmato Invicta.
Controlla ora cos’hai nelle tasche. Biglietti dei tuoi spostamenti usati, il cinema il mercoledì e l’accendino per dar fuoco alle tue ansie da poco.
Da quando hai smesso di fumare sei ingrassato, lo sai?
Puoi accarezzarmi ancora la pancia per sentirti migliore, puoi misurare il mio fallo e poi fare i confronti.
Mio caro, mio uomo, ti fermi sempre al di qua del confine, soltanto perché tu, il confine, l’hai inventato. E hai perso in coraggio, vinto in paura.
Che se pensassi di meno, tu meno studiato, meno posato, meno educato, forse lasceresti le redini e segni nuovi sulla tua schiena, unghie rotte e morsi rossi sul tuo collo morbido.
E non fossi già olimpico, affermato, adorato, applaudito, cercheresti il senso nelle attenzioni al tuo fare, al tuo dire, per non piacere agli altri, piacere a te, che sei il tuo vestire, che sei il tuo andare.
Così tenderai le mani e ammetterai anche tu
che hai bisogno di un abbraccio,
di un bacio,
di perdere il senno,
di perdere il sonno
e scriverai parole che rimandi da tempo
in una notte di carne, notte di testa, notte d’amore,
tu non più solo, al comando.
Foto: Elliott Erwitt
…spio da giorni, più volte al giorno, da questo spiraglio, il tuo pensiero e penso alla fissazione della nostra infanzia quando ci rubava lo sguardo qualcosa che aveva fatto della sua semplicità la sua magia…e la nostra meraviglia.
Grazie Andrea. Lasciamo liberi gli spiragli e diamoci sotto con la meraviglia. Io ci sono.