Archivi tag: Naviglio

Accompagnami alla sera

Dolce amore delle quattro di notte, nel sogno di una tavola apparecchiata, i tuoi amici tutt’intorno ed io nudo, coi punti interrogativi in gola trascinato sulla riva del mattino scuro.

Il fumo denso, le mie gengive rosse e i carrelli della spesa spinti dai bambini. Ogni voce un taglio, è fastidio d’intorno.

Ti ho incontrato con la valigia a tracolla, aspettavi un kebab fuori dalla vetrina: il pavimento bagnato, i miei calzoni bagnati, il tuo cappuccio bagnato. Mi chiedevi come stai e che fai, ma era troppo tardi, troppo tardi per non aspettarti, troppo tardi anche per risponderti. Qui le parole ci appesantiscono come la pioggia fa con i capelli, così accenno due passi di danza sul marciapiede, tu ti stupisci, dici hai fatto festa stanotte? Se per festa intendi semafori e piazze e litanie fuori dai locali, luci basse, banconi bassi, cameriere basse e sigari fumati in serie e disperata domanda di senso, sì, allora è festa quella che ho trascinato dietro di me in questa notte.

Così che il letto si è fatto caverna e non tana; non ci sono ombre da proiettare sul soffitto e la realtà si manifesta com’è: una spremuta e un caffè e acidità di stomaco e medicine bianche, mani bianche e polvere negli angoli.

Dolce amore sulla via, dolce amore sulle auto in sosta, sotto ai ponti del naviglio Pavese, le adolescenze a esplodere nelle campagne e la provincia che dorme sui cuscini striati di mascara.

E fuori manicomi abbandonati e case vuote, uffici vuoti, fabbriche vuote, tasche vuote e poi le parole, vuoti che servono soltanto per prolungare i nostri desideri di conquista e si conquista lo spazio, lo sai, soltanto lo spazio. L’occupazione del suolo privato è domanda, risveglio dell’altro attraverso attenzioni non richieste.

Lasciami alla pace, alle bandiere colorate e alle allegre maggiorenni.

Se gli autovelox misurassero la nostra impulsività sarei sempre colpevole, e così mi fermo un’altra volta, una ancora, non ho documenti, soltanto testimonianze, qui tutto passa, esplodono le stelle anche ora, anche qui, le nascite, le morti, anche ora, anche qui. E i tuoi capelli, i tuoi capelli che profumo hanno, e le tue mani, sì, le tue mani, muovile ancora piano, come sai fare tu e indicami una strada, una o più e poi accompagnami fino alla sera.

Foto: Philip-Lorca diCorcia

pl4

Contrassegnato da tag , , , , , , , ,

Chiamami sempre, chiamami ancora.

La bonaccia della domenica e nelle orecchie i segni rossi degli auricolari, le onde della tua voce per quando mi addormento. Ho scoperchiato le palpebre e ci ho trovato i resti della serata di ieri. Ruminiamo al mattino gli scarti dei nostri desideri della notte. Con l’alcool che neutralizza tutte le nostre idee di dignità ci mostriamo nudi alla pioggia di luglio che viene a farci sentire di nuovo il sussulto del corpo. A disperdere parole sul Naviglio, rincorrere le gonne in svendita delle ventenni e i saldi promozionali dell’età di mezzo. E così ritrovarsi a parlare di poesia alla logica cinica del barista cinquantenne, tante ne ha viste e poche ne racconta. La posa plastica della mia mano che appoggia il bicchiere sul cuore. Le emozioni riservate al dopo-sbronza, quelle telefonate che non dovresti mai fare, che dopo le due di notte tutto è invadenza. Bello sarebbe trovarti tra le strisce pedonali, le ballerine garbate e il vestito leggero, la forma allungata dei tuoi occhi per far guerra ai miei nascondigli. La debolezza esibita nel tono della mia voce e a perdere gli occhi sul tuo numero coi dubbio sul che fare, le parole a ripeterle perdono il loro significato mentre i numeri avvicinano al sonno. Non ci sono sveglie per le mie mattine, cerco i tuoi denti sul comodino per masticare di nuovo la tua lingua, scoprirti nascosta sotto al cuscino e aspettare il tuo cucù. Chiamami sempre, chiamami ancora. E in sogno il rumore sordo dei nostri corpi che sbattono contro doghe in legno, le grandinate sparse tra il monte bianco e il Po e la mia finestra dimenticata aperta. Mi son svegliato lago e al mio orecchio il tuo sussurro: facciamoci un bagno, facciamolo ora, fammi nuotare, fammi affogare.

Contrassegnato da tag , , , , , , ,

Con le foto di Parigi che si calano dalle pareti per ricordarci la città bella

Con le foto di Parigi che si calano dalle pareti per ricordarci la città bella. Quando ci sdraiavamo sul Naviglio e svegliavamo le albe. Coi miei discorsi sui movimenti della terra per favorire gli incontri. Sui nostri nasi tatuiamo spilli e ci salutiamo come gli esquimesi. Non bevo più non mangio più non ci sto più e voglio e voglio e voglio questa erba voglio che ci cresce sul petto. I pantaloni mi cadono addosso come le tende che non ti ricordi di chiudere, che sognavamo il buio e apriamo gli occhi alla luce. Quando via Dante era troppo stretta per tutti e due. Le immagini dei poveri che ci lacrimavano addosso come tante madonne. La vuoi una rosa? La vuoi una rosa? Che sei così famosa che ti chiedono autografi per le balene. Le mie tasche lunghe che per raccogliere le chiavi di casa devo inchinarmi alle stelle. Che poi sei salita e io non c’ero. Appeso alle pareti come un cristo. Ti ho detto non sono io, non sono più e quelle nuvole lassù. Ti sei seduta. Hai chiuso gli occhi. E sulle tue ginocchia ho rimboccato le mie cosce di lana. E proprio quando ti ho leccato le palpebre e proprio quando hai aperto le gambe ti ho offerto una birra che con la bocca bagnata si aprono universi.

Contrassegnato da tag , , , , , ,