Ho voglia di dirti sei bella

Come,

chi è rinchiuso tra sbarre d’uffici,

come,

chi ha una sposa pronta ad accoglierlo ad ogni ritorno, un piatto caldo in tavola, un piccolo uomo sbavoso e felice che piange per notti e poi cerca seno e mano donando affetto in cambio di calore,

come,

può pensare costui che una vita sciolta da ogni vincolo sia gioia e libertà assoluta?

Nulla a che vedere con questo hanno i capelli al vento, nelle vetrine a specchio dei palazzi borghesi i nostri soprabiti lunghi, le tasche lise e i gomiti consumati. I nostri sorrisi folli e quella sofferenza che ci coglie in mezzo alla notte mentre pensiamo al futuro dei nostri cari per lasciare il nostro in preda ai cani che si dividono membra già dilaniate dalle domande che recitiamo al mattino.

Per salutare il giorno coloriamo di nero la moka Bialetti e non ci basta un caffè, non ci basta nemmeno un pasto povero. Ci ingozziamo di vita, noi che non sappiamo accontentarci del sapore e vogliamo andare oltre le pietanze. E sballiamo col vino, i nostri denti rossi e la lingua lunga per cercare diamanti grezzi in seno alla notte.

Recitiamo lo stesso copione falso dei palchetti dorati delle città grandi alle donne incontrate per strada, diamo scandalo pubblico abbassando lo sguardo quando ci sentiamo accettati e ci lanciamo col dire ti amo soltanto dopo qualche minuto, un profumo.

Noi esseri disperati che non sappiamo come le nostre madri abbiano avuto il coraggio di chiamarci per nome, diventiamo rossi per un abbraccio e quando qualcuno prepara la tavola per le nostre facce ribelli, ci dice siediti e non toccare niente, che siamo ospiti entrambi, ma questa è casa mia.

Ospite della vita, in vero, a quattro zampe cerco ancora sul pavimento i cocci di bottiglia dei folli che mi hanno preceduto e ritrovo soltanto fotografie in bianco e nero e pagine e pagine di confessioni.

Vorrei vendere la mia Vespa di panna per poter dire: “Non possiedo nient’altro che una valigia di stracci e medicine contro il mal di testa e scarpe per camminare e diplomi da bruciare davanti al signore di Roma”.

Non sarò certo io a rivoltare gli argini del fiume disumano che attraversa i nostri costumi invernali, le maschere dei maiali e tutti questi no agli agnelli. Come se il bianco fosse intoccabile, la carne indesiderabile.

Mi stenderei sotto il sole d’aprile per aspettare le stelle cadute e maledire il tempo che ho perso e le parole sprecate con le bellissime dei rotocalchi.

Mentre mi accarezzo il petto e penso con stima, piacere, affetto a Lucio Dalla e ai colpi di mano tra i peli radi delle cosce magre, alle canzoni che accompagnano le mie passeggiate e ai viaggi in nave, per quella notte in aereo con Monica Bellucci dopo mesi d’Africa nera. Il bianco dei nostri schizzi è vita sciolta, sprecata.

Niente è più atteso dei tuoi tratti dolci quando in bocca hai l’amaro dei giorni. Ma occorre sciacquarsi le guance e poi ancora aspettare, che i passaggi bruschi non rendono gioie alla lingua.

Addormentarsi una sera ubriachi e ritrovarsi rock star.

Le mie paure delle dipendenze: la droga, l’alcool, l’amore e poi il mare.

Sento il richiamo blu del gabbiano, le isole della Grecia mi attendono ora che è arrivata una proposta da McDonalds spengo lo sguardo e getto la lingua di lato. Ho voglia di dirti sei bella.

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