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Abbandonare Rojadirecta

E mentre nascono i figli dei re noi disperdiamo giorni a cercar vittorie nei videogiochi. Consumiamo le antenne paraboliche per aggiornarci gli smartphone e cerchiamo distanze sempre restando legati alla madre.

Ti chiederai perché non smetto di scrivere, io solo, io non amato, io relitto di navi affondate da tempo. Ti chiederai perché canto al risveglio e nego le rime e privilegio il ritmo, mentre mi gratto le nocche e spremo i pettorali perché sia fatta la volontà del giorno.

Aggrappati alle lenzuola chiudiamo gli occhi e cominciamo il viaggio, neghiamo la meditazione e incensiamo l’emozione. E decidiamo di andare senza bisogno di via e protestiamo con stile evitando il giudizio, ma spostando lo sguardo.

Dovremmo possedere il balcone davanti al nostro e sederci a contemplare la natura morta del nostro mobilio: dove vivi è importante. Così, in questa rue Montorgueil pitturata in turisti e urlante in mercato, sfilo vestito di camicie leggere e scarpe pesanti. Raggiungo la chiesa di Saint Eustace e accedo all’incomprensibilità del gregoriano. Ricordo che esistono le genti e che utilizzo la parola con spocchia borghese. L’inaccessibilità di certi ritmi barocchi e il potere del tamburo africano.

A seconda del cuore dilazioni in battiti il tuo sentire. Potrai associarti alla popolata schiera dei saggi e trascurare il carattere schivo del mio osservare, o andare oltre al già udito e darti il tempo per comprendere. Che se all’inizio è fascino e poi disagio, è con l’ascolto che accedi alle altezze.

Raffinarsi in esercizi, il quotidiano rito del risveglio in piegamenti sulle braccia e suono di tasti e desideri irrisolti. Saranno anni che non mi rispondi, e non ci sono campanelli, né porte, né numeri di telefono. Che belle labbra che hai, che orecchie grandi vorrei. Per sostituire all’istinto l’ascolto e penetrare a fondo quel che mi sono tatuato nel colon, che ogni tanto si infiamma e poi, cheto, si lascia dimenticare. Andare al mare, mangiare una pizza, venirti a prendere e aspettare che scendi. Una vita normale, una vita risolta e appuntamenti sicuri: l’abbonamento alle televisioni a pagamento e abbandonare Rojadirecta così che anche un match di precampionato perda insicurezza, acquisti in qualità.

Foto: David Goldblatt

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Quando fare un caffè era dirci buongiorno

Diventiamo così grandi che finiamo per sdoppiarci. Le pance gonfie di birra e i Super Tele ingoiati dalle donne degli amici, i palloni da lasciar calciare ad altri e l’attesa per il nome nuovo del figlio del vicino.

Vorrei esultare come al Maracanà e fare la Ola per tutti quegli amori realizzati nel terzo. Quando in accademia mi insegnavano che non esiste storia a due, ma ci vuole un tre per far accadere qualcosa.

E così ci muoviamo con scarpe di tela e occhiali da sole in questo giugno bizzarro, che piove col sole e poi sudi di notte. E le case condivise e vedervi al risveglio. Quando fare il caffè era dirci buongiorno. E’ così che siamo partiti, chi per restare, chi per tornare. Che quando prendo il treno non è più per una donna, ma per un abbraccio. Benvenuto, è qui che puoi essere come sei.

Quando mi sono sorpreso a inserire faccine nei messaggi su Facebook ed evitare il punto alla fine di ogni frase per non fare paura. Mentre i piccioni non svernano e le rondini, oh, le rondini! Una sera d’estate, sudati di vino, un tavolo in legno e rimanere minuti a fissare un nido, quando tu ti avvicini, ti siedi sulle mie gambe mi dici: è tardi, vuoi inciderla, dannazione, quella tua vena contemplativa? Lasciar scorrere il sangue in zampilli e sporcarti di terra. Sudare tra due cosce soltanto per sfogarti e non cercarci in mezzo l’altissimo. La vuoi perdere questa maledetta malinconia che trasforma i tuoi giorni in romanzi? Non è tempo ora per i film parlati, gli effetti speciali delle storie di fantascienza e le cronache delle vite modello.

E quando torno a casa spero sempre di incontrarti, come quella volta che mi hai accolto in lacrime e alla fine sorridevi, mi dicesti a domani. Il primo domani e l’ultimo capoverso. Per il seguito dei punti e delle frasi brevi degli scrittori degli anni novanta. Per quel folle di Wallace e per la sua passione per il tennis. Per la carbonara cara a Pasolini e per il caro prezzo dei bar frequentati da Celine. Delle escargot di Sartre e delle ciliegie d’oro di rue Montorgueil.

Vorrei offrirti un panino, vorrei dirti, lo sai che c’è? Io non sono capace di non annoiarmi, non sono capace di trascorrere ore senza desiderare essere altrove, vuoi farmi cambiare idea? Tu puoi convincermi, tu puoi. Solo parlandomi, solo guardandomi. Solo restando.

Foto: Mario Giacomelli

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