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Da “Io”, prove tecniche di romanzo breve.

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E svegliarsi con le coccole degli altri come sveglia. Quando vorremmo soltanto essere meno soli. E compresi. E diventare uguali a tutti, le formiche che lavorano di giorno e si fanno forti del numero e del loro ignorare che fuori dal nido ci sono passi e fuochi e pericoli di ogni sorta. E’ nell’ignoranza che si avverte la felicità e non c’è spazio per il fascino futuro dei giorni lieti.

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Anteprima 2

(…) Dicevo di solitudini mentre preparavo l’ennesimo caffè della giornata per stare sull’attenti che il letto in una casa molto piccola è una tentazione forte. Va a finire che ti sdrai che cominci con le buone intenzioni del mondo e poi non combini niente ti piangi addosso e getti il computer lontano che non riesci a scrivere manco una riga e la chat di facebook si riempie di fascino dopo la mezzanotte. E allora pensi a questo tempo incerto, al cielo grigio di Milano che forse prima o poi pioverà e avrai un buon motivo per tutta questa malinconia.

E decidi di chiamarla e lei non risponde mai, chissà dove sarà e che colpa abbiamo noi che non sappiamo mai trovare il momento adatto.

E poi lei richiama, la mia sorpresa e dovrei far squillare per aumentare il desiderio e invece rispondo subito e mi son scordato la parte, mezzo addormentato come sono su questo materasso russo, russo non perché fa russare, né per provenienza, ma su e giù di buche da far invidia a una giostra. Per i su e giù dei miei umore per i tuoi come stai per i miei bene per i tuoi tutto bene per i miei quando ci vediamo e tu mi dici presto che è così generico che neanche un tg della televisione privata. E alla fine non ci vediamo mai.

Quando sono solo immagino quel che sarà di noi. Le proiezioni chiudono solo di notte, quando esagero col vino e la birra rossa mi dà alla testa e allora ti scrivo e allora ti chiamo e tu non rispondi che lo sai che sono ubriaco e non sono credibile.

Che sono arrogante e presuntuoso e se fossi sempre più invadente sfonderei a quest’ora avrei un lavoro di quelli stimabili con lo stipendio fisso e le ferie in agosto.

Invece ho quasi trent’anni, non ho una donna, non ho un lavoro nemmeno a progetto nemmeno a scadenza. Non ho intenzione di sposarmi nei prossimi tre anni, non ho mai sentito il desiderio di diventare padre e mi trovo a disagio quando i miei amici di sempre sono in numero superiore al cinque che non mi so dilungare sulle taglie dei jeans, sull’attacco del Milan e se si parla di politica mi scaldo così tanto che comincio a sudare. E non mi va di litigare che poi ci resto male. Gli esami di coscienza la notte portano incubi o telefonate alle donne sbagliate, che sono peggio degli incubi, che il giorno dopo ti penti e devi trovare una scusa per annullare gli appuntamenti.

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Anticipazione 1

(…)

Ero solo, nella mia camera che è tutta letto, che non c’è spazio nemmeno per una poltrona. Il computer appoggiato sulle ginocchia, guardavo le tue foto una per una e poi ancora e poi ancora come se potessi trovare qualche particolare nuovo che ti facesse apparire più brutta di quello che già sei. Che non ci si comporta così. Tu e i tuoi narcisismi particolari, di quella notte quand’andavamo in cerca di un cinema ancora aperto. Erano circa le ventidue della sera il tuo abito lungo e le tue scarpe basse; camminavi lenta come a dire che non riuscivi a starmi dietro che donne e uomini hanno passo diverso. Di cinema in cinema evitavi i miei sguardi e proiettavi gli occhi all’insù che la Madonnina è sempre illuminata e ovunque protegge questa Milano allo smog.

E poi il film l’abbiamo visto, ma io non ricordo nulla. Nemmeno i titoli di coda. Mi hai detto non un granché, il film intendevi che poi non è che parli tanto. Ti annoiavi, lo so, ti stiracchiavi per farmi sentire gli scricchiolii delle tue ossa, gli scatti dei tuoi muscoli, per dirmi sono agile, ma non così tanto da adattarmi ai tuoi discorsi improponibili. Quando ti dicevo che per sapere qualcosa di noi non abbiamo bisogno di guardarci allo specchio, che il vetro è bugiardo perché è la proiezione delle nostre idee, che se ti pensi grassa ti vedrai grassa; che invece avremmo bisogno degli altri per guardar dentro a noi stessi, per capire ciò che va e non va che non siamo mai tanto grassi come pensiamo.

E quando ha fatto chiaro in sala e buio fuori ci siamo fatti coraggio e ci siamo alzati in piedi e tu mi hai detto vado in bagno, io ti ho detto anch’io e quel tu che fai, mi segui? Ho risposto no, mi scappa, vuoi che la faccia qui? Hai storto il naso e là ho capito che la serata era finita e avevo sbagliato tutto un’altra volta. Hai fatto pipì, hai detto ciao e un bacio in guancia guardando l’arrivo del tram. Hai fatto forza sui tuoi polpacci grossi e sei salita e ti guardavi le scarpe, i tuoi piedi storti.

Ti ho vista sparire e ho dimenticato gli occhi sulla strada. E là ho pensato che avrei dovuto cominciare a fumare. Ma non l’ho fatto. Manco una sigaretta. Che poi non respiro la notte e mi giro nel letto come le trottole con le lenzuola che si impigliano tra le dita dei piedi e metti che poi divento un bruco e non respiro più? Io che vorrei morire da eroe.

E invece vivo da vile. In una casa piccola per gente piccola.  (…)

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Achille e Valentina da “Oggi, domani o dopodomani”

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Achille versò del vino rosso nei bicchieri ricavati dal contenitore di vetro della Nutella.

Non riuscì a non notarlo. Valentina si era sporta un poco sul lavandino, la maglietta azzurra elastica si era sollevata e aveva lasciato scoperto un tatuaggio rosso con la scritta: “I can fly.”.

Piuttosto banale.”

Che?”

I can fly.”

Mi guardi il culo?” Valentina mischiava la pasta al sugo etnico. L’odore di curry sfondava le narici.

Non sono solo io quello banale.”

L’ho fatto in America, a 16 anni. Non lo rifarei più ma ormai sta là e se l’hai guardato vuol dire che ti piace.”

Mi piace quello che c’è sotto ma la scritta è inguardabile.”

Arraperebbe chiunque.”

Qualsiasi sedicenne. Qualche ventenne allupato. Un trentenne stupido. Un quarantenne annoiato. Ora che ci penso… sì, arraperebbe chiunque.” Risero. Poi gli sguardi si incrociarono, un istante di silenzio, poi ci pensò Valentina a spezzare l’imbarazzo.

Lo vedi? Banalità. E’ la chiave del potere.”

La banalità arrapa, eccita, comanda e…”

Filosofo, mangiamo?” Lo interruppe lei porgendogli il piatto.

Achille affondò la forchetta tra i maccheroni. Li portava alla bocca, schioccavano sul palato e rilasciavano il gusto ai lati della lingua. Non passarono tre minuti che il piatto di Achille fu pulito mentre quello di Valentina era ancora pieno.

(…)

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