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Poi chiedere il nome ai tuoi capelli

Chiedere il nome ai tuoi capelli per interrompere i silenzi del tempo che fa. Gli elastici delle nostre dita lunghe una riga che per le questioni irrisolte rimandiamo al domani come le pensioni irraggiungibili dei nostri genitori. Lo sguardo perso a immaginare futuri tra le lentiggini e i tuoi occhi celesti in disaccordo col cielo. Che fare ora e che dire? Troppe le parole spese sui marciapiedi, la macchia d’olio della tua presenza sullo stivale e i numeri delle nostre dipendenze per ricordare i giorni indecifrabili del mese di marzo con lo scolapasta dei soprannomi ad annullare distanze. L’acqua scotta dei nostri ieri, gli spaghetti al dente dell’oggi e la domanda del condimento. E tra le linee sconnesse delle mie giacche antimoderne tutti i tuoi sondaggi, di quando mi sono ricordato di quel capello addormentato sulle mie spalle e avrei voluto riportartelo con un fiocco rosso, ma poi s’era fatto tardi, che mi sono messo a correre per farlo volare nella direzione opposta ai miei passi. Per lo smarrimento dei tuoi viaggi intorno al mondo, per le fotografie appiccicate ai pixel ingannevoli di questi rettangoli con la mela e i commenti allo zucchero, i lecca lecca tascabili come antidoto alle malinconie. E i nostri conti li facciamo con le tasche dei jeans strappati sul fondo, per tutte quelle volte che non ci facevamo problemi a sederci per terra, a raccontarci delle sbronze nei porti interrotti degli amori pensati. Poi quelle favole sul volontariato, gli anni migliori delle nostre esistenze a interrogarci sulla povertà degli altri per poi scoprire di non bastarci, le ansie planetarie per il salvataggio delle banche stitiche e quella storia immortale che dare il superfluo non è un guadagno, ma è il necessario che porta i segni dell’ascensione, non al denaro, all’amore e al cielo lanciavamo i nostri M&M’s dai tetti per disegnare ancora arcobaleni invisibili, e crederci e farci lenti mentre tutto il mondo ci suda intorno.

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Come gli uccelli

E come gli uccelli salire al settimo piano per trovare orizzonti gli slanci dei nostri telefonini ultramoderni le foto in bianco e nero la nostalgia dei dandy per rifare le labbra ai bicchieri per tirare indietro coperte alla notte scoperchiare le cupole i chewin gum di labbra ignoranti i rossetti rossi sulla tomba di Wilde e quelle citazioni da prima volta. Che vorrei sedermi e trovare silenzio e riposo che dovrebbero aprire le chiese la notte e tra le panche tornerebbero a cantare i poeti. Altro che bar altro che pub. E’ una questione di qualità gli adolescenti bevono vino per invecchiarsi per le gambe instabili i tavoli delle carte mai giocate il coraggio infrasettimanale la Champion’s League.  Guardare più in là dei grattacieli le tue trottole lanciate sullo stivale. La posta vuota questa abitudine fuori moda che la parola è sempre di troppo come le tasche dei jeans aderenti. Scoperchieranno i navigli e usciranno i tuoi sogni le canzoni inascoltabili delle tue docce notturne. Tutte le strade davanti e prenderne soltanto una le auto a noleggio e la vernice bianca le linee continue per non sorpassare. Che non sappiamo prenderci la responsabilità di qualche riga che possiamo dircelo che non serve a niente non ci interessa non siamo niente. Come quando cadevano a terra gli M&M’s e ci soffiavi sopra e li mangiavi lo stesso. La tua lingua dai mille colori. E che importanza ha se ci siamo sporcati se ci siamo abbandonati. Sono tornato a prenderti e hai lo stesso sguardo solo un po’ più triste. E io ti ho detto di guardarti dentro alla fine dell’arcobaleno della tua lingua colorata che gli M&M’s serviranno a qualcosa il pentolone dei tuoi desideri le monete di cioccolato. E prenderemo il largo prima o poi. Ma eravamo uccelli e dovevamo vedere il mare per distinguere il cielo.

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Il tuo tavolo apparecchiato per la felicità

L’allegria nei risvolti dei miei jeans indistruttibili. Le scarpe colorate e le leggende alle casse dei supermercati. I nostri palati fini e la birra a un euro. Gli spettacoli brutti di quando non ci capiamo, quei particolari che non dimentichi, come quella sera che siamo usciti senza ombrello e poi non è piovuto e abbiamo affondato le dita nella cioccolata. Gli arcobaleni nelle pozzanghere. La benzina verde e i gasdotti Ceceni. I giornali stesi sul pavimento e le cartine Riza gettate là, Iran Costa d’Avorio Libia e Sudan, è primavera e sulle pareti schizziamo i nostri desideri informi. Mi hai portato sulla luna una notte, i cavalli alati per riprendermi il senno. La terra piccola laggiù in preda alle pazzie dei neon. Il tuo tavolo era apparecchiato per la felicità, ma io non ero pronto e mi sono ubriacato. Questi tempi che non si incontrano mai, il quattro quarti e i bonsai. Come quella notte che giocavamo a guardarci e ti sei dimenticata gli occhi sul mio letto. E la mattina la polvere mi ha ricoperto e tu sei tornata e hai soffiato forte. Tra le nuvole poi siamo tornati a ballare. E ci siamo finiti il sacchetto giallo degli M&M’s poi io ci ho soffiato dentro e tu ci sei saltata sopra e siamo scoppiati a ridere per la prima volta e anche i miei jeans si sono rilassati.

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