Alle scelte e ai progetti di lego dimenticati in soffitta. Di case di Barbie ristrutturate e altalene lasciate sugli alberi. Volevamo lanciarci dal pendio, il prato verde disegnato sui jeans e le capriole nel ventre della terra.
Ci siamo fatti grandi sbucciandoci le ginocchia sulle strade della provincia, le estati in Valfurva e le vesti nere dei preti. Che lasciavamo la chiesa per ultimi e ci sfondavamo di perché.
E poi le braccia si allungano e così si lascia andare lo sguardo, le vite diverse e gli sguardi comuni. Così quella fortuna che esige sudore: l’amore, ti sorprendeva a vent’anni e mani che si stringono per nuove conoscenze, lo spirito critico nella tasca sinistra e quegli aperitivi allo Spizzico perché eravamo poveri e ancor poco cittadini.
E poi il vestito bianco, i calici alzati e i viaggi nel nero dei continenti, le porte nuove di una casa tua e quel Santos nato in febbraio, che potrei anche sbagliarmi, che poi lo sai che coi numeri faccio schifo e pure coi rapporti a due.
E ora aerei e poi treni e punti di domanda trasformati in partenza. La paura dei vestiti inadatti e i chissà, le riflessioni sul clima delle città grandi e sulle loro lobby esclusive. Tutte sciocchezze quando scendi la strada e compri la pasta fresca al supermercato.
Ci scambieremo presto le idee, coi pensieri appesi alle pareti per i nostri ritorni. Della tua piccola con la cresta e dello sguardo dolce di papà.
E ora guardiamo dalla finestra e viviamo il presente, questo cielo che aspetta il vento per confondere nuvole e creare disegni. Che non c’è tempo per restare fermi, almeno non ora, almeno non qui. Aspetteremo la tavola per pucciare nel vino qualche traguardo e ricordarci che siamo altro, che siamo oltre, che le contingenze son solo piccolezze.
Foto: Sebastiao Salgado