Schiaccia molti high five

Così si era fatto mattino.

La schiena rigida e il peso del giorno. I panni stesi sempre umidi e dimenticarsi ancora una volta di asciugarsi le ascelle dopo una doccia breve. E non capisci dove sei, il desiderio del cuscino e questo cielo che si confonde ai palazzi e chiede uno sforzo al colore, agli stendibiancheria e alle magliette a righe della capitale francese.

Vorrei fermarti per strada e dirti è tempo di far colazione insieme, quanti giorni sono passati non vale la pena di ricordarselo.

Nella Pangea dei miei pensieri notturni non distinguo gli affetti, la spuma densa dei mari d’inverno e immaginarsi il bianco di Grecia e il nero dei tuoi capelli.

Vorrei dirti non so ballare, non so cucinare, non so nemmeno arbitrare. E invece so fare un po’ tutto, ma mai fino in fondo. E’ una questione di voglia, forse di responsabilità.

Di quando scrissi Milano aspettami, Milano addio, dei miei ritorni e della malinconia del lasciare le strade grandi e questo mischiume di genti che apre le porte della cattedrale mai costruita della meraviglia.

Non avremo paura quando ci troveranno per strada a lanciarci sassi sulla fronte per far uscire i nostri pensieri nascosti.

E cercheremo il confronto coi grandi del tutto facendoci trovare ricoperti del niente. Così trasparenti che potranno passarci attraverso e li vedrete coi capelli più corti e le spalle più larghe, i culturisti della parola mai troppo pensata.

Colano le strade dell’orina gialla di certe pagine della stampa, dei libri invenduti sulle bancarelle e illuminano le stelle il piscio per la bellezza dei concerti all’aperto, delle grigliate nei prati, gli aperitivi sulle terrazze e quel sereno poltrire del sabato pomeriggio.

Quando ti chiederanno che pensi di me rimani zitta e sorridi, poi schernisciti e inventa uno sguardo nuovo. Schiaccia molti high five e cerca l’altro per curiosità, non per possesso.

E ora a noi due, mie mani, mia strada, mio gelido spruzzo dei pensieri di giugno. Alla quarta di copertina di un libro mai scritto e alle mie processioni di questua davanti agli editor, alle colonne senza vita delle case editrici sempre chiuse, come le chiese.

Foto: Willy Ronis

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