Chiederti perdono per tutte le invadenze. Sedermi sulle tue ginocchia per aiutarti a piangere. Non parlare, ma stringerti i fianchi.
Non c’è nulla da fare, soltanto stare. Tutti i tentativi di vicinanza e il tuo profumo che non ricordo.
Se parlo non mi senti, se urlo mi faccio patetico. Sussurro agli alberi e il vento disperde. Chissà come la mangi la pizza, se la tagli e poi la prendi in mano o se sei elegante con la forchetta. Vorrei prestarti una maglietta per il sonno, regalarti al mattino l’apertura delle finestre e il primo sole che ti fa sbattere le ciglia e ti deforma le labbra.
Non ho fatto altro che immaginarti e rinviato il sonno all’alba. Nei miei occhi così aperti tutti i sogni rimandati, le case basse del centro Italia e lune che riposano tra i fili della corrente.
Come i cervi quando bevono alle fonti allungano il collo all’apparenza indifesi. Le corna larghe rendono irraggiungibili gli occhi e allontanano gli sguardi. Con le pupille incastrate ai cannocchiali ti dicevo come lo sanno che li stiamo guardando, come lo sanno. Dicevi è semplice, lo sai, è una questione di energie.
Ti ho preso la mano a distanza, ti pensavo così tanto che riuscivo a sentirti vicina, e chissà tu se l’hai sentita quella vicinanza, se ti sei cercata le dita e le hai trovate incastrate tra i miei capelli.
Foto: dalla rete.