Le citazioni degli altri e la strada che ci chiama per nome. Le nostre sveglie che suonano, quando laviamo la faccia con l’acqua calda per resistere agli shock termici. Varchiamo l’uscio aprendo un occhio soltanto alle prime luci dell’alba. Il rosa delle sorgenti e l’acido che ristagna nello stomaco. Le ore così piccole dell’ultimo dell’anno e quella malinconia che ti prende una volta nel letto, quando cambi posizione soltanto per dar tregua al flusso inesauribile di pensieri che l’alcool fa scrosciare con forza. E tra i semafori si diradano gli schiamazzi, i botti incredibili per la notte insonne dei cani e le caserme dei pompieri che fanno il turno di notte. Non si fa silenzio mai, la luce colorata del caricatore del cellulare e tutte le avvertenze che leggiamo quando sediamo sul cesso. Un sibilo lungo tra le nostre tempie e il pensiero agli affetti che vorresti vicino. Inutile dire che pensare a te è un esercizio che mi condurrà alla pazzia. Che non posso farci niente lo sai se gli anni mi hanno ricamato addosso questo sentire, che rinnegarlo sarebbe danneggiare l’arazzo intrecciato che porto sul petto. Verranno a dirmi della presunzione e dei miei distinguo. Verranno ancora a bussare alla mia porta e poi a nascondersi. Verranno a chiedermi dei miei domani per aprire la porta delle loro compassioni. Non così, non così, miei cari. Il caro Fedor ci spingeva alla vita, che la viltà va a braccetto col buoncostume. L’intelligenza con l’esperienza. Son vivo miei cari, morto un po’ perché nell’arte della coltivazione è irrinunciabile la potatura. E porterò frutti prima o poi. E ne mangerete tutti. E tu, mia amata, folle che tramuti in immagine ogni tuo sguardo, dipingi il quadro della tua danza sulle colline toscane, prendi il mare d’inverno e bagnalo dei tuoi pianti, delle parole che non hai il coraggio di dire. E appendi la tela sopra il mio letto così che svegliandomi nel giorno nuovo, nel nuovo anno, io, povero, cieco, sordo e superbo, me ne accorga e trascorra i miei giorni a cercare una scala per sfondare il soffitto e poi raggiungerti là dove tu sei, tra le tue solitudini e le tue insicurezze. E io ti ascolterò. Tu mi ascolterai. E ci faremo armonia di corpi quando imparerai a guardarmi gli occhi, imparerai a baciarmi le labbra e non trascurerai le capriole del muscolo del gusto, e saprai come accarezzarmi e saprai come avvicinarmi e come muoverti quando non ti guardo. Che il resto per me non è più importante, non ti direi mai che sei brutta perché non ti avrei mai avvicinata, e ti dirò che sei bella anche quando bella non sei.
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