Le undici e quarantadue, nessun rintocco e suoni rari. Un lenzuolo bianco e le sue macchie pallide, non serve altro per sentirsi soli. Le pulsioni eruttano a vulcano e poi la quiete. La fame folle del post orgasmo e il cuore a mille per le pressioni che saltano sulle nostre teste. Quando ti lasci andare alla notte e non prendi sonno mai. Che sei mia posso dirlo soltanto per questioni d’immaginazione. Ti trascinavi lungo le strade strette della metropoli con i tuoi taxi e non ti fidavi di metro e autobus per paura del contagio del genere umano. Le spalle coperte t’immobilizzano i movimenti, lo sai. Sono venuto a cercarti e non c’eri. Non ci sei più e lo so da tempo e riconoscerlo è più difficile dei quadri in 3D che trovavo appesi dal parrucchiere quando avevo otto anni. E fissavi lo sguardo su un particolare per accedere al tutto, al volume dei tuoi fianchi, il gorgogliare delle tue natiche e la lente delle tue lentiggini. Come la luna sull’orizzonte appare immensa e sopra la testa un puntino, non è questione di lontananza. Più siamo distanti più tu ti fai grande. Le mancanze diventano binocoli ed i miei occhi non reggono il rosso dei fumi dell’atmosfera terrestre. Vorrei essere bianco e puro e salire sul Grande Carro e farmi il giro del cielo per gli approdi che non so intuire e questo viaggio che acquista di senso in percorrenza. Dimmi dei tuoi cento nomi, dimmi della tua cordialità e dei cuoricini che disegni tra i pixel. Dimmi perché io son qui che cerco mille donne per ritrovare i segni di te. Il tuo camminare, le tue dimenticanze. Il tuo vezzo snob e la timidezza, l’accesso vietato ai tuoi luoghi chiusi e le mie domande invadenti. Vuoi dirmi perché ti sei fatta un recinto? Puoi rispondermi che sei come insalata, che cresci al riparo per darti in pasto alle tavole dei contadini.
Mi farò volpe e verrà la notte, penetrerò nel tuo campo, tra le dune morbide della tua terra calda, il seme del mio venire e poi tutte le parole che ci si può sussurrare soltanto quando siamo uno nell’altra. Non ti mangerò, non mi mangerai. Saremo soltanto quegli esseri così diversi che ribaltano le scatole preconfezionate degli equilibri. Verrò a prenderti fuori dal supermercato e ti aiuterò con le borse pesanti. Solleverò le palpebre dai tuoi occhi stanchi per farti vedere vedere la cicatrice sul mio occhio sinistro. La mia sofferenza è soltanto un trofeo. E costruirò con le mie mani primi e secondi piatti. Per l’antipasto useremo le nostre labbra e poi lingua e bocca e intestino e mani e cuore. Farò indigestione coi tuoi occhi e non ti chiederò più il perché dei tuoi allontanamenti. E te ne andrai quando vorrai, basterà un messaggio, una telefonata. Poi tornerai. E ci sarò sempre quando trasformeremo la volpe in peluche e poi ridendo la accarezzerai. E poi piangendo la bagnerai.
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