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E non daremo la colpa alle stelle

Ma il sole dietro alle sbarre rimane sole? E dietro al sole il buio o ancora cielo? E dietro al cielo, dimmelo, ora, tu dove sei, dove ti nascondi, con la coperta alzata fino alla fronte, i vagabondaggi dei tuoi capelli. Vorrei averne uno, qui sul tavolo, sul tappeto o intorno al glande, a dire di un tuo passaggio, la tua vicinanza.

Troveremo un contenitore adatto alle parole per la raccolta differenziata dei nostri sentimenti dispersi. Quando unisci le mani, intrecci le dita, quando lasci la testa molle, le braccia molli, quando non vista danzi. Chissà se esistono specchi per guardarsi dentro, dici che è una fortuna, sarebbe una maledizione e finiremmo per restare immobili. Dove sono le tue labbra adesso e dove i tuoi occhi? Prima del risveglio a immaginare i corpi degli altri, dimmelo tu perché non basto a me stesso.

Ora, il cappello a trequarti, il ciuffo a cancellarmi un occhio per la pirateria delle relazioni, per le sorprese ai semafori e le contestazioni degli studenti. Ho dieci domande scritte sulla mano, mi dici come hai fatto, hai le mani piccole.

La curiosità è fatta di frasi brevi e domande veloci, prendersi il tempo della stretta è un’invadenza riservata a pochi. Non ti capisco, continui tu, non c’è niente da capire, dico io. Ricordi noi, sui balconi ad appendere arcobaleni, le bandiere contro le guerre e i diritti degli altri, gli altri che poi siamo noi e chi se no, dici tu, l’alterità è di per sé una violenza. Tu alzi le spalle e ti allontani, io ti guardo le scarpe, me lo ricorderò quel palchetto in piazza Castello, noi per le donne, noi tutte donne, dicevo anch’io, ma era impossibile, così una rondine e la primavera delle coscienze sempre in ritardo. Corriamo, propongo. Ma dove? Che importa. Importa invece.

Non ci sono più stagioni e altre lenzuola bianche attraversano le piazze, che dovrei fare, ti chiedo. Non lo so, rispondi tu. Non lo so, ripeto io. Dovremmo trovare un altro nemico, uno ancora, magari un amico.

Liberiamo queste finestra dalle grate che ostacolano lo sguardo, dove sbatteremo le nostre tovaglie? Oltre i palazzi, oltre i cancelli e i tavolini dei bar, oltre le strade grigie della provincia, oltre i nomi delle città, fino a perderci e distinguere soltanto il giorno e la notte, fotografie fatte con gli occhi, parola o vento. E non daremo la colpa alle stelle se siamo rimasti soltanto contorni.

Foto: dalla rete.

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A fotografare in bianco e nero non si sbaglia mai

La barba lunga, curata.

Un vestito blu, una camicia bianca.

Slip Intimissimi con elastico largo e capelli incerati. Il sole basso di settembre e l’afa che accarezza l’erba.

Tutto intorno un vociare di saluti, una campana che suona scomposta e il ritmo in battere dei tacchi alti. A scambiarsi occhiate interessate e annegare invidie nel prosecco, nell’abbraccio profumato con l’amico che non vedi da tempo.

La lunga sfilata di un velo chiaro e la notte annunciata dall’abito dello sposo. A fotografare in bianco e nero non si sbaglia mai.

E brindisi e rintocchi in cristallo. Il pianto gioioso degli infanti e le ruote delle carrozzine a sfidare la ghiaia.

A perderci tovaglioli tra le dimensioni dei calici, il vino buono e il cibo curato.

Alberi di frutta decorati in fiaba. Di piccole fiamme al riparo di vetri leggeri. E parenti in processione per il saluto nuovo, i cori degli amici e la goliardia dei canti.

Così che una chiesa, un cinquecento d’affreschi e semplicità di forme si fa culla alla santa alleanza. Un prete che osserva, un uomo e una donna a promettersi amore e vita insieme. La fedeltà ad un anello e parole pronunciate a voce piena, sguardo presente e coscienza.

L’esplosione dei cuori e le cataratte aperte delle madri. Costruivamo argini per allontanare la morte mentre un violino regolava la velocità del sangue.

Che il bello si gusta nell’immediato e la coscienza arriva nel poi. Risalgono gli sguardi e si tracciano contorni per le foto ricordo che appenderemo in salotto.

E mi dicevi sono felice e appoggiato a un balcone ti guardavo come si osservano le albe. Che rinascevi in chiarore, gli occhi puliti e il movimento delle mani a tradire l’emozione.

E poi la festa, tovaglie bianche e sedie occupate. Piatti colorati di cibi e camerieri in corsa. Non manca nulla, mangiate e bevete, oh voi tutti. Così il jazz accompagna i discorsi e i nostri occhi sugli abiti delle vergini e le scollature delle madri. Qualcuno si apparta e il vino accelera lo schiudersi di fiori d’incontro. E poi che lavoro fai, io sono il fratello, il cugino, l’amico. E quanto ancora continueremo a darci del lei.

Un risotto e un cannellone. Il rosso e il perlato del nettare sulle camicie firmate, corriamo il rischio di sporcarci per esultare a notte fonda. E cacciar via le piccolezze dei nostri presenti e ritrovarsi a condividere la gioia grande di un due che si è fatto uno, lei balla e lui la guarda. I neon colorati e mongolfiere a risvegliare il cielo, a dire lo sai che c’è, dai guarda giù, facci ballare.

Così anche la pioggia avvicina le timidezze e si trova il coraggio dello sguardo alto, e gli occhi si mischiano e la notte cancella distanze. Ci abbracciamo forte con gli sconosciuti e ricamiamo frasi poetiche per donne di mezza età. La cantilene dei primi saluti e a tarda notte mischiare sudori e labbra che accarezzano guance e mani che stringono fianchi.

Mi hai scritto un messaggio breve e ho pensato fosse uno scherzo. Verrà il mattino e ti risponderò con calma. Ora il corpo si muove, la musica scandaglia il fondale dei desideri e sposta le sabbie del buon costume. Così esplodono le voglie e i sigari esultano tra le nostre labbra gonfie. Col soffitto che attende il fumo dei nostri cervelli. Ci hai mai pensato che ai matrimoni non ci sono libri? Che ci si legge in volto e non ci sono punti a capo, è tutto una virgola, un punto esclamativo.

E a notte fonda i letti esultano di piacere e risa. L’amore che scoperchia il bianco dei denti e colora in rosso le schiene. Il destino dei vestiti eleganti è il pavimento, il sudore. Che fine han fatto i tuoi slip sarebbe meglio non chiederlo. Sarà il risveglio a salvarci. Oh voi che parlate d’amore, sveglia, la campana suona e ancora rintocca, su, forza, correte a guardare, qui tutti a raccolta. Federe bianche, capelli arruffati e lenzuola sudate.

Il mattino nuovo e una doccia.

Lasciate tutto com’è, passerà il fotografo, scatteremo una foto e avremo una nuova copertina per il vostro album, l’io e il tu lasciamoli ai fidanzati. Ora è una stanza e una notte trascorsa. Il noi di un risveglio.

Foto: dalla rete

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Per quando non sei che contorni

Per quando non sei e le trapunte in fiori che nascondiamo in soffitta. Non parlerò più d’amore, non scriverò delle foglie nerastre dei boschi delle tue cosce. Rimarrò sul davanzale dei tuoi occhi, petalo io per il succhiare stanco delle ultime api.

Il giallo e il nero di notti e giorni, il passo lento alle sei del mattino e la ricerca vana delle aquile in stormi.

Per quando non sei che contorni.

Per quando sei erba e radura.

Per le le grigliate a cavallo del tuo petto. Le dita roventi per l’eruzione dei tuoi sussurri.

Di quando c’eri sono rimasti ricordi.

Erba schiacciata e mozziconi spenti. E il verde di bottiglie vuote.

Con le vibrazioni della Dub ballavano anche le cavallette e davanti ai tuoi seni arrossivano i tramonti.

Il sussidiario della scuola media, con la terra che gira su se stessa e i nostri pensieri che si perdono nel tempo. Ci pensi mai che stiamo girando in tondo? E non siamo mai dove crediamo di essere.

Sulle vocali francesi batte il vento di luglio per i ricordi delle masturbazioni dell’adolescenza.

Di quando mi domandavo dello sguardo degli animali, conoscerà mai vergogna un cane?

Ti avevo svegliata puntandoti la mia pistola sulla schiena, ti sei presa paura che era ancora buio,mi hai domandato che fai e poi hai capito che non era metallo.

Bello sarebbe ora addentare brioches e caffè caldo. Hai risposto scemo, alle rondini basta il pane. Ci pensi mai che gli uccelli giovani prendono il cibo dalla bocca dei genitori? Hai mai visto due carpe baciarsi?

La banalità del mai.

Per quando non sei che ricordo.

Lo sguardo sul petto e il desiderio del fumo denso degli stupefacenti.

Di quando mi sdraio sul tavolo e provo ad afferrare il soffitto. Le dita in cerca disegnano rotte per l’invisibilità della polvere.

Per quando non sei che guance.

Per quando non sei che assenza.

Per il profumo nelle mie narici.

Per l’odore tra le mie dita.

I miei capelli sporchi.

Il rosso degli occhi.

Questo fastidio del cazzo mi fa pensare a te.

Taglieranno l’erba prima o poi, troverò le tue forcine infilzate a terra. Il tuo anello rotola nella bocca della rana verde.

Il canto asmatico dei nostri intestini, verrà la pioggia e fango per l’annullamento dei segni del nostro peso.

E tu sopra di me, io sopra di te e tutti questi esperimenti, i Frenz, gli Staind e i gruppi finto rock degli anni novanta.

Sul tuo ginocchio la pelle morbida e bolle bianche colpa d’ortica.

Per quando non sei che gambe e posso portarti sul petto come una collana.

Foto: © Mapplethorpe

Photo editing: Neige

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