Nella testa china delle piante aromatiche la nostra vittoria. Il balcone e il rifugio delle sigarette, il mio cappotto lungo e questo freddo che tarda ad arrivare. Le difficoltà con le lingue degli altri e poi in libreria per la lettura settimanale delle prime tre pagine in nuova pubblicazione. Questa sintassi stanca e punti e a capo per la sconfitta del nuovo sentire, con Milano che si guarda l’ombelico e gli scrittori sovrappeso e forfora sulle spalle in attesa di un nuovo giudizio, il pugno alzato e il dito puntato. Le contraddizioni dei quarantenni. La povertà dei beni materiali e la crescita esponenziale della considerazione del sé. Tra le vostre letture barba bianca per sguardi cristallizzato e già morti perché immobili. Quanto vorrei prendere la mano a un nonno sconosciuto, sedermi sulle sue gambe e guardare da vicino i tratti del suo viso senza che mi chieda che fai e perché credi ancora all’impossibile. La distanza necessaria tra ideale e reale. Quando lasci nella tasca un sasso bianco per ricordarti la strada di casa. E ti chiederanno il perché dell’erranza, della tua mancanza di stima verso i più e le debolezze di questo sistema che ti considera giovane a trent’anni. Quando in Eritrea ho visto madri di anni dieci e potenza d’affetto e schiena chinata e ideali di vita e progetti. Sulle nostre spalle consumate i lividi neri dei nostri bagagli. Per la leggerezza è necessario l’abbandonare. Lasciare in ego e possedimenti, che quel che si fa regale è il dominio del sé che agli altri poi ci penserai. Non preoccuparti. Guardare dentro al pozzo scuro delle nostre debolezze, e fecondare le arsure col credo. E nelle relazioni il mondo nuovo della scoperta dei precipizi e altezze sconosciute della nostra sensibilità. Creare legami per distruggere il nostro sentirci indispensabili. E poi lasciarsi andare all’altro, di quella mia volta in Sicilia, otto anni di bimbo e i capelli rasati, così al largo e re di un mondo ancora sconosciuto, poi il giubbotto di salvataggio che si sfila, la paura e acqua da bere in sorsi e pensare oggi sarò morto, morto come i grandi, morto come i pesci morti nella mia pancia viva, e poi una mano, papà e la forza del suo braccio e lasciarsi andare al pianto, acqua nell’acqua, sale con sale e sapore d’affetto e vita nuova in abbraccio. Dall’acqua per l’acqua. Che questo nostro andare sia cosciente del pericolo degli abissi, che i nostri giorni non trascurino mani, abbracci, affetti. Un mese al Natale e questa neve che prima o poi arriverà, che poi lo sai che per definizione allontana le aridità degli oggi e promette primavere e germogli.
Foto: Robert Frank
Photo editing: Neige