La prima neve e i lamenti degli automobilisti, il nero dei camini accesi e gli occhi grandi dei bimbi. Le nostre parole che cadono dalla sedia e i rimbrotti degli intestini per riportarci al reale. Che allontanavamo la fine del mondo a furia di isolamenti. Più ti allontani più ti presto attenzione, come i pastori del sud del sud del mondo, come le mandrie a nord del nord del cuore.
E tra i carrelli della spesa le nostre prime necessità in ordine sparso, le catalogazioni dei nostri vizi appese al soffitto. Poi la mia voce che non lascia ombre e la tua piccola storia. Mentre qualcuno ti fa dei ritratti non posso scordare il tuo viso, la presenza gentile delle tue guance e le tue labbra strette, piccoli morsi tra i denti bianchissimi. Sai, non so più cos’è il silenzio e mi allontano dalle scritture per capirne il senso. L’ordine è un ritmo che faccio fatica a comprendere.
Le maratone dei miei respiri di quando arrivo esausto al traguardo, col forno delle tue cosce per il mio pane quotidiano e tutte le nostre pene che svaniscono in pochi sguardi. Di quando giocavamo a fare i bambini, dei nostri ciao ciao nel bel mezzo della cucina e le vocine stridule dietro le tende per richiamare le streghe e gli incubi che abbiamo imparato a conoscere. E non c’è nero sotto ai nostri letti. Poi alle finestre chiedevamo tregua ai nostri futuri prossimi e per allontanare il pensiero dei traslochi ci incantavamo nel bianco dei tetti: il quaderno nuovo e le nostre dita inchiostro simpatico per le nostre firme. Lasceremo tracce come piedi nelle pozzanghere. E porteremo acqua ai nostri pavimenti assetati e trasformeremo i pensieri in torrenti per irrigare gli incontri e far fiorire amicizie. L’amore no, è una cosa diversa. Chiederò al cielo il perché del desiderio, ai prati verdi rugiada contro l’invadenza, poi luci al neon, risvegli in ritardo e gli inseguimenti nei corridoi bianchi dei supermercati, l’odore della terra soltanto un souvenir appoggiato sul televisore.
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