Gonfio d’alcool e pensieri, le spalle al muro, i denti consumati per i morsi dell’insofferenza e quella sensibilità che ti costringe alle diversità. L’infinita ricerca di piogge contro le aridità di questa solitudine abitata. Lasciare indietro bellezze da adolescenti e poi di corsa oltre la porta di casa; avvicineremo gli orizzonti soltanto con la forza del nostro quarantadue di piede. E mentre sfiorivi crescevano orchidee bianche nei tuoi organi interni e ti facevi vicino al cielo, santo e perdente. Così beat che anche quando ti mettevi in disparte, appoggiato a un palo o disteso su un bancone, attiravi gli sguardi dei più. E avevi imparato a non giustificarti della tua presenza. E ti piacevano così tanto le piogge che avevi imparato a danzarci attraverso e coi capelli bagnati affrontavi il resto della notte e inseguivi le lucciole solitarie ai lati della strada. Le prendevi tra i palmi chiusi delle mani e appoggiavi l’occhio tra le fessure aperte delle tue dita. La luce vicina e i tuoi desideri lontani. E rimanevi abbagliato che non ti interessava più nulla e trascinavi i tuoi giorni aspettando un’altro temporale, sperando che lei se ne accorgesse e varcasse la soglia e non temesse più, per quel ballo che vi eravate promessi. Conserverai la lucciola in un barattolo e poi gliela donerai, lei esausta, tu sfiorito nel corpo, ma zuppo di gioia e bello. Sempre più bello.
Foto: Kerouac