Come scrivere a questa Italia che le vuoi bene, che tanto non capisce e trema. Ti avrei voluto vedere anche soltanto per il tempo di un ciao, le tue lentiggini da soffiare sulla facciata di quel palazzo chiuso da tempo e dimenticarti chi sei e la responsabilità di quel nome che ti hanno appiccicato addosso.
Nelle tue cene di gala indossate abiti colorati, qui ci circondiamo del nero per meravigliarci di quel che scorgiamo intorno. Mi son scoperto fiume e corrente, l’adrenalina degli incontri e il chissà, la fiducia nell’altro che abbiamo tavole sgombre e pensieri fini e facciamo denuncia d’azione per prendere fiato tra le parole.
Dall’alto i grattacieli del potere e gli elicotteri della presunzione, gli ottant’anni per dirci che fai e dove vai, le tirate d’orecchie dei grandi e la parola custodire che dorme ancora sotto ai cuscini con le fiale di Cialis e tutte le lotte che non ricordiamo.
E là nel mondo gettano assi di spade, e qui nel mondo gettano due di bombe, dovrei avere vista lunga e respiro profondo invece ansimo tra le lenzuola e mi preoccupo di quel domani che chiamo mio e non nostro. Quando prenderemo il coraggio di dirlo che mio può diventare termine denso e affettuoso, che tanti mio fanno un noi e una valanga di sguardi. Io non lo so perché ora ci si riconosce per strada e ci si tende la mano, non lo so perché ci si stringe in parola e tutto d’un tratto impariamo l’ascolto.
Io non lo so perché con gli altri è così facile e con te no. Dove sei tu? Mia. Che nel pensiero del mattino il mondo si fa lontano e i sampietrini delle strade di Milano piangono delle nostre assenze. Questa pioggia come un sipario, inizio o fine non c’è via di mezzo. Per i deboli son le carrozze e i vetri neri delle grandi auto, apri i tuoi argini, scendi dalla torre, vieni, vieni così vicina che non possa guardarti per intero, così vicina che ci possiamo confondere e come Piccolo Giallo e Piccolo Blu farci verdi e dirci che era così facile come fare il pane, conoscere il forno e aspettare, guardare, imparare e a tu per tu con la pasta molle accettare le sberle e sporcarsi le mani per farci corazza dorata e fragile e sapore, e profumo.