Quando ci tiravamo i capelli per sembrare più alti

Per il giorno in cui sei nato e i miei non ricordi. Per le corse d’estate, il prato grande e noi a rincorrerci. Le lucertole e le cavallette, a staccare le code per giocare ai dinosauri, a mozzare le ali per provare a toccare l’altissimo e tutti quegli azzurri che scompaiono tra le montagne. Quei pomeriggi lunghissimi e il nascondino, le carte, e le prese in giro. E dare il nome alle nuvole coi buchi che ci siamo fatti sulle ginocchia, quando ci tiravamo i capelli per sembrare più alti. Il canestrino del  basket sopra la porta della mia camera, la palla di spugna e le tue vittorie che sei stato sempre più alto. I viaggi intorno al piccolo mondo, le brochette e i nostri balli tra i deserti. Le distanze che ci hanno avvicinato e i discorsi seri sopra ai divani. La Juventus per svagarci e poi diventare grandi in un puff, per i silenzi nei monasteri cari e le schermaglie dell’adolescenza. Tagliarti i capelli per sentirti caro, con la precarietà dei luoghi, i giorni corti d’inverno e il ti voglio bene come una cantilena. Ci sono parole che non serve dirci, ci sono sguardi al profumo di casa e accoglienze fatte di come stai. Per il giorno in cui sei nato e i miei non ricordi. Per dirti che siamo qui, per queste parole che sono carezze che non m’importa della retorica e quando stringo le braccia so che stringo anche te.

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