Non sarà certo Baliani a salvarci. Le nostre terre promesse i torroni i terroni per le mascelle dure il naso fino cento anni passano così in fretta mi dici che siamo già stanchi del ritmo lineare dei nostri battiti la superficie lucida delle pupille e i viaggi verso l’altrove. Col terzo occhio per i pensieri deboli che è così strano averti accanto e so come si piegano le tue guance quando scoperchi il bianco dei denti perfetti in fila come tanti soldati perché sei pacifista. Per i palati fini per le parole a grappolo che ci scorrono nell’intestino che ho dimenticato il sapore dell’uva mentre ti avevo di fronte. Per le strette di mano i complimenti rari. E poi cantarti in salmi la lista interminabile dei rettangoli che appoggiamo sul comodino e abbiamo fatto le pieghe alle rughe di Harry De Luca ai ghirigori surreali di Pennac e poi quel piano dovresti pimparlo hai presente il negroni quando è fatto bene? Un colpo alla testa, sangue caldo e cannella, le lacrime invisibili per la scena finale di Terraferma e quella barca che diventa cielo. E poi ci sono tutti i pensieri che girano attorno alle prime volte e le distanze che sostengono gli sguardi. Quando volevo essere un gabbiano per guardare dall’alto e dare a tutto una forma che poi se ci pensi più i contorni sono chiari più ti perdi i particolari e non volevo pescare e non volevo volare. E fanculo agli shuttle alle gare d’appalto che chi arriva primo vince e si perde il paesaggio.