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WooA!

Le gole ubriache di vita, le strade piene e le labbra bagnate, noi pronti ad accarezzare il mattino nelle spalle morbide e magre delle ragazze della notte, prendere un taxi all’alba e domandarsi se un letto può diventare lo scompartimento di un treno.

Poi i discorsi degli sconosciuti e i nostri pfff sbuffati e molte effe di compatimento. Che dovremmo vivere al posto di guardarci da fuori e fare della bocca una zip chiusa mentre dentro c’è un cazzo che pulsa. Trattenere i silenzi e accumulare saggezze e fantasie, poi farle esplodere in un grande WOOA.

Quando tutta questa pazienza sarà premiata. Temo la vittoria, le scarpe lustre del successo e le gite fuori porta, l’amore perverso verso gli animali e i desideri di volontariato di chi ha avuto troppo e non sa come né a chi rendere grazie.

Mi piace inciampare sul marciapiede e alzare gli occhi sul passante, chiedermi chissà come si muove ai concerti e il suo cantante preferito, chissà se sa disegnare, magari suona, e poi chissà cosa legge. E non frequento i circoli accademici densi di parole precise e nomi eclatanti. Non riesco a parlare a lungo degli stoici e nemmeno di Epicuro, figurati di Lacan. Mi soffermo sul significato delle rughe sul viso e sul pensiero che sta dietro a un taglio di capelli. Forse non tutti possono essere dei Pasolini, dei Carlo Emilio Gadda o magari non è il tempo per fare il verso a Tolstoj, quello che so è che ci sediamo al tavolo con la domanda del cosa ci faccio qui e cerchiamo una soluzione. E non ci lasciamo stare, abbiamo un vulcano che ribolle e nessuna risposta, né schieramento politico pronto a difenderci dalle eruzioni.

Desideriamo per noi l’umanità e ci facciamo servi nello sguardo. Abbiamo sviluppato un’attitudine impotente e non sappiamo imporci perché guardiamo oltre lo strato della menzogna e riconosciamo l’umano nel passo, nel cristallino e nella modulazione della voce, e non è poi così importante quante parole ci rimbalzano addosso, che misuriamo il tempo in sguardi.

Vorrei pregare ora, farmi silenzio e sacrificare tutti quei giorni che mi sono sentito colpevole per qualcosa che non ho mai scelto, ma che mi apparteneva in nascita. La conoscenza passa attraverso gli inferni, il puzzo di piscio fuori da casa, il vomito nei cessi degli sconosciuti e le istruzioni d’uso dei preservativi.

Quel Cristo che perde l’equilibrio sui rosari di strada viene a cancellare questa colpa che ci hanno appiccicato addosso. La conoscenza salvifica del nostro corpo e l’energia sessuale che esplode in conoscenza, e creazione, e wooa! Ancora WooA!

E ora è notte tra i sampietrini, il barista fuma l’ultima sigaretta guardando il bancone, le madri controllano l’orologio in attesa di folli vergini adolescenti e i padri russano e voltano la testa dall’altra parte, che in fondo, e lo sai, ci sono due sguardi che ci fanno da casa. Quello che aspetta e poi quello che se ne fotte, si volta, e poi, prima o poi, qualcuno aspetta.

E intanto, nel cielo, tra le automobili e nelle camere d’albergo, e altrove, scoppiano stelle, e lunghi sibili nei nostri silenzi, e lunghi WoooA, WoooA, WoooooooA.

Foto: Alban Grosdidier

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