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Bandiera

Mi riferisco all’esperienza umana di chi è deputato, onorevole. Di chi è prete, suora, monaco o che altro. Di chi è cittadino impegnato, di chi è laico. Di chi è maestra, maestro, professore, docente, preside, rettore. Di chi è secondino, appuntato. Di chi è prigioniero, di chi è parente di un condannato, di un militare all’estero. Parlo di un medico, di un primario, parlo di un paziente.

Parlo ai di chi, e mi riferisco all’uomo.

Le istituzioni dai muri scrostati e la scarsa fiducia del prossimo. Che il massimo della generosità è il dono di una sigaretta fuori da un locale.

Tutta questa sfiducia nell’altro e noi vittime delle sentenze saccenti delle istituzioni sacre: il governo, la chiesa, la scuola, il carcere, l’ospedale.

Figlie e figli di un epoca che ha costruito grattacieli ideati in fantascienza e padiglioni iper-accessoriati, che ha lasciato le case basse alle campagne.

Io figlio, io cittadino, io adulto, io giovane. I giovani non esistono c’è scritto sul muro della mia scuola superiore.

C’è un atrio dell’università statale che mi interroga sul presente. Che siamo ancora nel ’68? Gli stessi slogan, gli stessi vestiti e pure i libri di allora. I cinquantenni hanno perso, miei cari, di quella generazione sconfitta cantava Gaber al Jamaica, e così è. Ci hai preso mai da bere al Jamaica? Hai consumato la notte in un Arci? Hai ballato mai il Sudamerica per le strade strette della Milano che dorme? Ci si ritrova anche oggi, si suona, si canta, si balla, si scrive e si crea. Che siamo un po’ confusi e non sappiamo fare gruppo, ma ci siamo anche noi. Non siamo giovani, non siamo niente. Non siamo corrente, non siamo i sessantatre, non siamo primavere né futuri probabili, non siamo, non siamo, non siamo?

E continuiamo a ragionare per categorie e abbiamo lasciato l’impegno civile ai nostri discorsi la sera tarda al bar, parliamo di politica come si fa col calcio, analizziamo schemi che non esistono e i caratteri dominanti della classe dirigente. Mi è simpatico. E’ antipatico, come Mourinho, ma dice quello che pensa e ci sa fare coi giornalisti.

Precario il mio pensiero di oggi, parole in bell’ordine per dare forma al vuoto e domanda di senso.

I miei pantaloni a quadri bucati sulla tasca sinistra e il peso del portafoglio. Il desiderio dell’estero per mettere fine alle relazioni stanche di qui. In vacanza dalle consuetudini per riappropriarsi di senso, di voglia, di un credo. Che il credo salva lo sai, in cosa credi tu? Almeno in te stesso, tu puoi?

E del Nirvana non me ne frega un cazzo. La voce di Kurt Cobain e Polly vuole un cracker.

Questo scoprire che non si può mettere freno all’amore, che il desiderio ci svela le alte sfere. Io non ci credo quando Battiato dice che non ha mai amato, che il letto è bello vuoto. Io non ci credo a chi lascia da parte la carne, e con carne intendo corpo e cibo e vino buono e profumi e stile nel vestire.

Non sono le parole dei grandi che guidano il mio fare di oggi, ricerco sulla strada i corpi che san farsi citazione e capelli a cui appigliarmi. Mi incantano le personalità note quando ne scopro le debolezze.

L’umanità è svelamento del sé, non sarò mai tuo amico se non so nulla delle tue bassezze, dello sporco che ti si accumula tra i capelli e del bisogno di ricambio della cute consumata.

Mi interessano i giornalisti che fanno della parola una bandiera necessaria e scoprono il mondo passo dopo passo, la fronte sudata, issano il vessillo in alto quando il vento è propizio e questo garrisce e colora il cielo grigio dei nostri giorni stanchi. Lo portano sulle spalle quando non spira brezza alcuna e siamo incastrati in gole, in apnea sotto i mari. Ma non lo abbandonano mai. Mai. Il peso del gonfalone, bandiera e asta e segni sulle spalle e calli sulle mani. Gli articoli e la libertà di Gianni Brera, la parole necessarie ed intime di Gianni Mura al tempo dei funerali.

Dovremmo inventarci dei soprannomi io e te, lasciarci andare ai dialetti.

Non voglio trascurare l’impegno pensando al prossimo come a cemento armato, vittima lui dei poteri forti, pavimento e fondamenta su cui si alimenta il sorriso del capo.

Rinnego le lobby, il frastuono degli accordi sotterranei, gli amori stanchi, la convenienze.

Mi dono al cambiamento, al nuovo, alla sorpresa degli incontri, agli sconosciuti, agli amori impossibili.

E vado per mondo con un bagaglio minimo: un computer, una penna, il pensiero. E diffido dei nostalgici, di quelli che il profumo della carta, di quelli che abusano del Quelli Che….

E credo nei ritmi, nelle parole indispensabili, nelle rime baciate, nelle strofe necessarie dei cantautori, nelle preghiere cantata, nel silenzio delle chiese e nelle loro porte grandi, nel valore del voto.

E così mi consegno a voi ogni giorno con queste parole fragili, il mio stendardo da sventolare, che se mi guardate a schiena nuda potete curarmi le piaghe.

re

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