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Centinaia di eventi dai nomi impronunciabili

E ci tiravamo in mezzo in una storia che non mi ricordo, io cominciavo dal c’era una volta e tu passavi all’azione. Ci sorprendevamo a toglierci le scarpe ed eravamo così goffi che anche il letto piangeva dal ridere e così lo punivamo saltandoci sopra e disfandogli il rozzo del bianco. Quando ti giravi dall’altra parte e mi dicevi immaginati i miei occhi, coi i miei vaffanculo, la voce da bimbo. Quando mi siedo sulle panchine appoggio entrambe le mani e ci trovo gomme già masticate e allora mi convinco siano imperfezioni della vernice o soltanto stemmi di non so quale casata nobile, così mi inganno e non provo ribrezzo. La borghesia mi sfila davanti col passo veloce, Milano chiama e il popolo risponde. Le altezze dei grattacieli e nessun pozzo per affogare in profondità. Centinaia di eventi e tutti con nomi impronunciabili. L’esigenza del party e le confraternite del sabato sera. Hai preparato il vestito? Linate non chiude lo sai, partono ancora gli aerei e possiamo cambiare vita, come in Revolutionary Road te lo ricordi quel film e poi Di Caprio quant’era bello una volta e adesso com’è? Si invecchia lo sai, la cicatrice sopra il mio occhio sinistro e le corse al parco che per tenerci in forma puntiamo l’occhio ai busti dei greci, al bronzo etrusco e confondiamo la storia con la moda. E poi lamentati ancora se ti parlo del mio razzismo estetico, di quella fisiognomica che basta uno sguardo e mi allontano e mi avvicino dai tuoi capelli, il movimento delle tue dita e il pozzi di petrolio che porti negli occhi. Volevo scriverti soltanto una storia vera, ma finisco per dilungarmi in attimi: le immagini che si accumulano nel mio cervello, come i quei sogni che non ti ricordi e che ti viene voglia di raccontarmi. Quando mi guardi, mi dici: sai che c’è? E immagino che tu voglia tagliare a metà il tuo cuore per annaffiarmi di rosso e regalarmi il marchio indelebile delle tue interiorità. E finalmente le cateratte, il volo delle astronavi e Plutone con le mutande abbassate, e allora nessuna arca e nessun Noè, chiuderanno gli uffici anagrafici perché comincerò a inventare il tuo nome e tu sarai così contenta che ti si illumineranno le guance come certe sfere sugli alberi del Natale. E ora non chiedermi niente, prendi la coperta e avvolgiti e poi rimani ferma, così, come una greca, come una dea. L’immagine invisibile di certe mie ispirazioni.

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