Tra i nostri esercizi di vanità un cerotto sull’indice e un taglio superficiale. Ripeti perché proprio a me così ci mettiamo a discutere su quel che ci è capitato in sorte e con le espressioni del viso dimentichiamo di accettare di esistere e poter far qualcosa per alleviare la sofferenza del non saper che dire, che fare, nemmeno dove andare. Dovremmo soltanto accettare la gioia, mi dici. Ma quale? Queste parole così gonfie che pronunciamo quando non sappiamo spiegarci e vogliamo sembrare più grandi. Oltre alla miseria delle nostre chiacchiere nei bar, quando degli incontri ci ricordiamo soltanto gli incipit o i saluti e il resto sono occhi altrove tra i cercatori di attenzioni e questa noia che portiamo sul dorso della mano destra come i timbrini all’entrata delle discoteche. La prima doccia non lava via nulla, bisogna grattare, quasi farci del male.
C’erano tre amici sul balcone e guardavano i carri sfilare, il carnevale che fa scendere in strada e colorare l’asfalto, dimentichi di ogni futuro e ignoranti di ieri ci ritroviamo cresciuti e sempre meno volgari, al di là dell’esibizione delle intimità e della nostra lingua che non teme imbarazzi.
Un’altra domenica di campionato e ceneri in testa, progetti per i lunedì pronti ad essere rimandati e diciotto gradi fuori dalla finestra. Per far prendere il sole ai cani nei parchi, per far prendere freddo alle nostre camicie primaverili, il tuo cappotto giallo in fondo alla strada e la curiosità vana nello scoprire che dentro non ci sei tu.
Tra le panchine verdi delle Tuileries e le statue in bronzo con le dita puntate verso di noi che riempivamo la borsa leggera per sostare nel verde e leggerci le carte, guardarci le mani e non scegliere mai. Che è più facile starsene soli, farsi il proprio ordine e chiudere le persiane quando è quasi buio per evitare lo sguardo invadente degli avventori.
L’irritazione di stare al tavolino a sorseggiare il caffè e tu che mi dici che soltanto i saggi dimenticano la propria testa.
Vorrei fare a botte con la poesia fino a lasciarmi ferire, abbandonare tutto questo lirismo in cerca della verità del dire, siamo diventati così evocativi che finiamo per essere finti e dopo tre righe mi cadono gli occhi, le palpebre chiudono il vuoto mentre le biglie rotolano e le spiagge si popolano delle orme dei cittadini riflessivi che cercano nel mare qualche risposta, ma trovano soltanto quiete e poi altre domande, ma è già abbastanza.
Foto: Andrea Pazienza, disegno.