Dicevi tra un mese è il mio compleanno e il tuo compleanno è arrivato. Tra i 45 giri la tua canzone è introvabile. Mi sono sorpreso a correre dietro a un treno con la giacca che si gonfia, il sole, di nuovo il sole a bagnarmi le tempie tra gli sguardi stupiti di tutti.
Poi sulla metro verde c’era un ragazzo, avrà avuto trent’anni, era italiano, la barba sfatta. Ci siamo guardati perché avevamo gli stessi occhi: io elegante, lui con la chitarra in mano, indossava due maglioni uno sopra l’altro, una giacca a vento e uno zaino, un cappellino colorato come quelli che fanno a mano agli angoli delle strade di Essaouira. Poi alla stazione di Centrale si è seduto per terra e ha cominciato a cantare De Andrè, il cappellino rovesciato per le offerte dei viaggiatori. Cantava come se il linoleum fosse un palcoscenico, costringeva ad alzare lo sguardo. C’era chi canticchiava, nella bocca una rosa, e dlin dlin di soldini. E grazie sinceri. Cosa ci spinge ad affezionarci a qualcuno che ci è familiare, che ci fa venire in mente gli amici, i nostri figli, gli ex fidanzati o i nipoti? Così la donna che mi stava a fianco mi ha detto: è bravo il ragazzo, io bravo l’ho ripetuto; non me ne importava per niente se era bravo o no, che aveva guadagnato tanto, ma tanto davvero e non perché era bravo, ma perché aveva restituito l’umanità a un vagone. Donne e uomini che quando escono di casa dimenticano l’accoglienza e si proteggono da tutte le invadenze del presente.
I concessionari sono zuppi di gente che sogna un’auto nuova e immagina un futuro diverso dal quotidiano vivere.
Se ti dico sei bella rispondi anche tu. Se ti dico allaccia la cintura tu cosa ricordi di tutte le mie attenzioni?
Dovremmo lavarci più spesso le mani che non ci stringiamo più, e credere negli skateboard volanti, i nostri futuri momentanei e i fumetti che ci rendono lecito quel che nascondiamo nel bon ton.
Forse dovrei mettermi un abito bianco e sposare quelle teorie sulla vita per cui non tutto esiste, sei il risultato soltanto delle mie proiezioni notturne. Sui muri a far le ombre cinesi eravamo tutti conigli.
Il tuo seno appoggiato sul davanzale e le canzoni delle nonne che non si cantano più. La pianta del fico e i calabroni a raccolta, le file infinite di vigne e il bianco delle nuvole che prende le forme più assurde. Delegare la libertà alla vacanza perché vorremmo sempre andare altrove: via da qui, da noi, dai pensieri degli altri e siccome quel luogo in cui vogliamo andare non lo troviamo, lo chiamiamo libertà. E siamo sempre in ricerca.
Ti dico continua a scattare fotografie, la scrittura è imperfetta, solo un’immagine può piacere per intero, mai una persona. Libera nos a Malo, libera nos dal tran tran delle città grandi, dai giochi dei parchi pubblici. Ritorneranno in vendita nelle cartolerie i palloni da incastrare sotto alle marmitte. Impareremo ad attraversare la strada a quattro anni e torneremo da scuola da soli e aspetteremo le quattro del pomeriggio per far merende con tutti gli altri, in casa, in strada, in metropolitana, poi prenderemo aerei per raggiungerci e aspetteremo la sera nell’aria chiara delle città dell’est.
Foto: dalla rete.
Resto sempre come stordita quando ti leggo…