Ivresse

Il nodo mancato, la corda che scivola e il cerchio in acciaio suona una nenia, poi s’interrompe. Così lo scafo è in balia delle correnti, sfiora la riva, poi prende il largo. La traccia sull’acqua subito scompare e non c’è suono che desti dal sonno, nemmeno uno spettatore sui balconi del borgo. Soltanto un cucciolo di cane, la notte sul fondo dello scafo, gli occhi aperti in risveglio e un latrato sottile, dove sono le case? Poi un ululato, le zampe appoggiate sul legno in movimento. Così si radunano i curiosi, l’orecchio teso, le mani a visiera per lanciare lo sguardo lontano. E i salvataggi per mare, il pelo zuppo, i capelli bagnati e applausi sul bagnasciuga. La barca ritorna alla terra, il nodo è nuovo e chissà quale notte ancora potrà giocar col fato e bagnarsi dei primi soli in mezzo allo specchio infinito che tutto riflette.

Mi dici non riesco, non è colpa mia, torno sempre indietro come i boomerang. Legno leggero che matura tra i panda, specie in via d’estinzione e contraddizioni in bianco e nero.

Io qui, tra le pieghe del viso, porto i segni del cuscino, delle mie sveglie posticipate. Non riesco a emozionarmi proprio, non riesco a sforzare le labbra in un wow davanti ai riconoscimenti degli altri, nemmeno davanti ai miei. Mi dici che non si fa, a volte le feste ci sono dovute. Alzo le spalle, dico, lo sai, sono tutto istinti e così distinguo la verità da quel che mi fa grande all’occhio fotosensibili degli altri. Emozione e desiderio, la razionalità è per i titoli dei giornali.

Nelle fragilità e nelle profondità dei ventricoli, le ansie che ci sorprendono prima di uscire di casa, il tuo sorriso quando è spontaneo, le mie innumerevoli debolezze, le ricerche di svago e le indignazioni che dovrei tenere soltanto nel portafogli e mostrare soltanto in intimità, come la figurina consumata di Alessandro Del Piero.

E ora ce l’abbiamo fatta, quella parola suona sulle bocche di tutti, con la sua doppia z che taglia, tre sillabe e un ritmo perfetto che si leva piano, s’innalza e poi si chiude dolce, è onda e non scompare, ma penetra la sabbia lasciandola bagnata e modellabile. Unisce quel che prima era soltanto un granello. Ora ce l’abbiamo fatta, è di tutti, per tutti, e non è un aggettivo che ha bisogno di sostegno, ma sostantivo che basta a se stesso. Che ci sarà poi? Un punto fermo, un segno esclamativo? Io sono per il punto di domanda, il dubbio e la tensione che suscita la ricerca della risposta.

Quale? Dove? Ognuno ha la sua, personale e raggiungibile, idealizzata o reale. Sai che ti dico, la ricerca vale tutto, tutto davvero e quando si muta in conquista allora è difficile trasformarla in parola.

Apro il mio portafogli: una fototessera da bimbo, l’asilo e il grembiule giallo pallido, i miei capelli a scodella e un sorriso bianco. Mentre si celebra il paese con la parola che ci lascia con la bocca aperta e le energie che si moltiplicano, mentre si celebra il paese io non mi emoziono, ma guardo la barca, là, col nodo teso e le onde che si fanno soltanto culla, barca che smania di prendere il mare, conoscere lo sconosciuto, gettare l’ancora tra le tue efelidi e respirare un poco l’aria che solo l’ebbrezza dell’inatteso sa dare.

Foto: dalla rete.

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