Ti chiamavo per noia o per vanità. Mi rispondevi ogni tanto concedendoti il vezzo delle cuffiette. Dicevi dobbiamo provarle tutte per combattere i mali incurabili e mi proponevi di scegliere tra i vestiti firmati, ti fotografavi in pose sciocche.
Mettere una x a tutte queste ragnatele, i rapporti a spirale e i cerchi che si prendono gioco di noi. Negli spogliatoi delle scuole medie i primi approcci con la ribellione, chi lo sa se esiste ancora chi ha paura delle sigarette. Fumiamo spliff la sera per rilassare i nervi, l’ottimismo nello sguardo perso e tu che continui a inviare email, il copia incolla delle mie emozioni e i caschi dei ghisa che rallentano l’aria.
Diserto gli show della sera con la spocchia dei chiodi che infilzano il muro, ma lasciano fuori la testa. Tutte quelle notti irrisolte e i quadri espressionisti delle tue labbra.
Mi guardavi spesso le mani e ti chiedevo il perché, finivamo a ridere e a confrontarci la lunghezza del dito medio. E ti sedevi sui gradini di Brera in sfregio alla nobiltà degli aperitivi e a quei chianti scadenti.
Fuori dalla finestra, tra le inferriate, le mie paure e le imprecazioni degli operai. Le battute in palestra e specchiarci per far risaltare il muscolo. Mentre ti trucchi mi chiedi se ho mai cambiato le gambe al letto. Non esistono fratture per gli immobili, ti dico io. Frequento troppo la grazia, mi dici tu, l’ignoranza del bruto è esplosione di forza. Perché non ti arrabbi mai?
Sotto al braccio l’indignazione e le firme dei quotidiani. Che serve al nostro mondo, mi chiedi tu? Non lo so, ti rispondo. Credo dovrei scommettere sulle corse dei cavalli per tornare a conoscere l’adrenalina. Aspetta martedì, mi dici, quando il Real verrà a Torino e si deve vincere, soltanto vincere. Chisseneimporta, rispondo io, perché non vieni a trovarmi? Non credo sia il caso, rispondi tu. Ma come stai? Non lo so, mi dici e stirando una camicia spruzzo vapore senza uno scopo e mi dico che sì, poi non sapere non è così male.
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