Quanti amori sulle scale mobili

La fronte calda e la testa pesante. Nel bianco del cesso i cocktail del venerdì sera e tutte le sostanze sconosciute dell’aria di Milano. Dovremmo fare amicizia coi semafori e stringerli forte per far farmare tutto questo andirivieni. Cadono le prime foglie e sono secche, stanche dell’albero, il sole maturo degli ultimi giorni d’agosto e il passatismo indecente di certe espressioni culturali. Poi gli speciali sulle profondità della terra e i buchi neri della nostra economia, a nulla serve la cortesia se poi quando non ti guardo prendi la verga e mi accarezzi il culo. La metro affollata delle ore di punta e tutti i pensieri che lasciamo dentro alle porte scorrevoli. Quanti amori sulle scale mobili e quante malattie. L’impotenza della mia sedia girevole per i cambi d’opinione, la riflessioni delle mie ginocchia per la preparazione atletica del pensiero critico e quei caschetti gialli, i volti neri, le urla e in televisione i commenti intercambiabili degli ex sessantottini. Vuoi dirmi cosa ti spinge, uomo, a incastrarti in disumane proteste, contro di te e la negazione delle tue aspirazioni. La rivendicazione dei nostri diritti, la debolezza dello stato sociale e questi aerostati che ci hanno montato al posto della testa. C’è qualcosa a monte più che nelle viscere della terra, cambiare la concezione della socialità, il volto umano dell’incontro e poi perché ci sfreghiamo le cosce per otto, dieci, dodici lunghe ore quando ci allontaniamo soltanto da noi come le sonde che attraccano Marte e ci aprono ingannevoli scenari fantastici. Perché il lavoro e perché il mantenimento dei valori che ci hanno insegnato? Quando il valore non è una medaglia, ma la dinamica delle trasformazioni e quella A incomprensibile della teoria delle catastrofi. Hanno bruciato le biblioteche, i seminari e i palazzi del potere per dirci che quando tutto è perso, bruciato, passato, è allora che nasce la nuova pelle. Le corazze si costruiscono per difendere i possedimenti. Il gioco del pallone e il pressing alto: correre, alitare, sudare. L’erba verde e le grida, la cena insieme e lo spirito di squadra. Dimmelo ancora che non ti manco. E dimmi perché il mio fegato chiede pietà. Per le ore spese a cercare di cambiare le reazioni chimiche dell’osservazione della realtà. Uomo ricordati il tuo nome, e non perdere la dignità per difendere quello che tu hai chiamato lavoro, famiglia, potere. E’ davanti alla pelle, agli occhi, al battito degli organi interni e al lacrimare delle coscienze che puoi perdere tutto perché poi tutto si fa boomerang e poi torna indietro.

Foto: Luigi Ghirri, Bologna 1985

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One thought on “Quanti amori sulle scale mobili

  1. icittadiniprimaditutto ha detto:

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

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