Continuiamo a chiamarlo riposo, ma non c’è tregua per noi che dilapidiamo il sonno in risvegli. Le falene sui vetri rotti per gli sguardi deviati del nostro respiro notturno. Col fegato in supplica tra le labbra. I tiri alla fune tra le nostre tende, la luce forte delle dieci del mattino e le ipotesi sulla tua scomparsa. Il frigorifero è così vuoto che ospita l’eco dei pasti passati, gli amici intorno al tavolo quando hai sempre la sensazione che siamo trottole che giriamo forte su noi stessi e quando veniamo a contatto perdiamo il giro, ci allontaniamo e poi ci spegniamo. Le direzioni perse, le nostre adolescenze così simili e dentro il brulicare di mille spinte, le cariche esplosive dei nostri ormoni e le emozioni pure delle infanzie imperfette. Noi fuochi d’artificio, le micce tutte uguali per suoni e colori e fontane. E una scintilla l’origine delle nostre partenze. Con l’affetto che ci rimane tra i peli superflui, che a distanza di giorni riusciamo a scriverci un come stai, un dove sei, non ci si vede mai. Che fine abbiamo fatto noi, ripetevo e pensavo che noi è una parola forte, che spaventa sulle prime e poi allontana. Noi noi noi noi a ripeterla è un lungo richiamo, quell’ “Ohi” dei sette nani e le fatiche della miniera per tornare a casa la sera e intonare i canti delle viscere della terra che non abbiamo parole per descriverci. Una goccia di sudore sul percorso insidioso del mio ventre, nata così, le mie parole al sole per brillare e poi decolorare come le polaroid del nostro tempo, come quando ci siamo visti ed era bellissimo, che poi le ore confondono i contorni e torniamo ad essere sagome e silhouette per gli sguardi disinteressati della strada che si difende coi gradini e sbuffa di notte tra i mozziconi spenti, le merde dei cani e i chewingum masticati dagli studenti per quei baci lunghissimi che non mi ricordo più.
Una poesia che sento mia…Bellissima . *-*