Un’orchidea nel petto il biossido di azoto che respiriamo affacciati alle finestre, quando vorrei allungare le braccia fino a terra raccogliere le tue gambe quando sei troppo stanca per salutarmi. Con gli aerei di carta ho organizzato attacchi ai tuoi polmoni per farti cambiare arie per farti ascoltare Tchaikovsky l’autunno e tutto il resto. Per le braccia nude delle piante i buchi dei picchi le malattie invernali le foglie sono cadute tutte lo stesso giorno quest’anno chiedilo al vento mi hai detto chiedilo al vento. L’orchidea nel petto ha fatto qui e là con la testa lo spostamento d’aria di quando socchiudi le palpebre. La luna in piena e le pietre sui davanzali a far la scorta di luce i laghi piatti per i saltelli per le influenze che ci fanno crescere come i bambini. Dovremmo appoggiarci al muro e disegnare boa sopra le nostre teste chiudere la porta, lasciarli al sole e vedere poi che viene fuori hai presente Snake? Le nuove generazioni, BlackBerry and company non giocano più. Angry Birds e i nostri voli rasoterra lontani dai radar. Gli scritti della notte che ci aggrappiamo alle citazioni per non cadere nella banalità. E poi ci spaventiamo. E si ferma il singhiozzo. Avremmo meno paura se fossimo allo stesso banco la prof che interroga e le mani nel buio dello zaino, la testa china per ritrovarci. Che siamo salvi solo per oggi. E dopo la chiamata alziamo lo sguardo come due brachiosauri collo e e collo per imitare i cigni di pezza degli hotel di lusso e poi imbarazzi come al tempo del primo brindisi. Che esistono tante rose lo sai, e una sola è sul mio pianeta. E addomesticare è una parola troppo lunga per i miei scritti. E lenta germoglia in fior di labbra quell’orchidea che non so disegnare.