Carta carbone e nuvole per questo cielo che ha nostalgia di te. L’ovale del tuo viso in cirri e le scie bianche per perderti di vista. Il vento accelera cambiano i contorni le nuvole le nuvole scendono dalle scale e pizzica e pizzica e pizzica e danza gli schizzi sugli scogli. Con la penisola intera che si inchina al mare e per proteggerci indosseremo scivoli di crema che ci guardiamo dall’abisso allo specchio il segnale rosso della nostra pelle a scadenza. Fermati un attimo e aspetta. Le precedenze e i processi sulle intenzioni i fallimenti per tutte le volte che hai avuto fretta i tamponamenti queste annotazioni inconcludenti. Non ti ho chiamata perché volevo incontrarti, ma facevi colazione, eri lontana, eri una rana dagli occhi grandi la bocca larga pronta a saltare pronta a volare. Aspettare aspettare. Col cuore a razzo, a mille, le autostrade tedesche senza i limiti di velocità. E ti ho leccato la schiena da perderci la testa che hai perso il senno, che hai perso il sonno, ti sei spaventata, non hai saltato, non hai volato. Che potevamo diventare rettili e poi uccelli e poi uomini sapienti e invece siamo tornati sott’acqua, che è più tranquillo. Le branchie intagliate come i nostri padri, le carcasse in mezzo ai deserti. E invece siamo rimasti anfibi. A respirare di mare, a prendere il sole per poi rituffarci abbronzati nelle nostre riviste alla moda, nelle nostre relazioni, nei romanzi rosa.
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