Signorina lingua lunga coraggio è tardi. Togliamo la parigina alle scarpe e prendiamo in ostaggio le gelaterie coi piedi nudi per proteggerci dall’afa di luglio. Le mie librerie in legno per tutte le cose che non sai, i miei dischi strafatti di pennarelli e l’originalità di Berlino musica per le tue orecchie. Finnegans Wake e quella lingua ruvida che non sappiamo leggere tra le righe. Le veglie, le due del mattino parcheggiati sui marciapiedi a salutare le turiste con gli abiti tutti neri i tacchi storti. E tra nuvole di moscerini improvvisiamo danze della pioggia per liberarci dall’ansia da prestazione. Quando sotto il balcone di casa tua scrivo le ultime righe di una storia mai cominciata. Ti divertirai anche tu alla veglia. Ci stringeremo le mani per un nuovo piacere, per tornare a guardarci negli occhi come al tempo dei primi brindisi. E aspetteremo che faccia giorno seduti sul letto senza toccarci senza provarci soltanto ascoltarci e poi mi dici che è difficile che siamo fatti di carne come gli hamburgher e diamo il meglio di noi a fuoco lento. Come in quella scena di Radiofreccia con le auto esplose, le gambe incrociate e i prati neri. Quel vuoto che ci fa guardare fuori perché non sappiamo più che fine abbiamo fatto noi che ci iniettiamo la vita con la curiosità degli incontri. Che ci battiamo sul petto il “ce l’hai” delle scuole elementari le nostre nuove vie di fuga: ce l’hai, ce l’hai, ce l’hai anche tu questa malattia. Questa rincorsa agli applausi che sul palcoscenico non ti riconosco.
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