Guardavamo il cielo dal basso su quel balcone aggrappato a queste case di ringhiera degli anni ’70.
C’erano delle scie bianche e tu hai cominciato a coi tuoi discorsi apiùnonposso sulle energie rinnovabili, tu che stai ore sotto la doccia, tu che ti lavi i denti cinque volte al giorno, tu che quando caghi lasci aperto lo sciacquone perché la casa è piccola e non vuoi che nessuno ti senta.
Le mie mani gialle lasciavano le sigarette a consumarsi al vento che la mia bocca era impegnata ad esplorarti le caviglie.
Avranno pensato male i vicini, avranno pensato a quel boa del Piccolo Principe che inghiotte gli elefanti tutti interi. Che vale lo stesso discorso per le anaconde ti dico io, e le anaconde son femmine e i boa maschi mi dici tu mentre ti salgo sulle cosce come le formiche rosse ti mordo e poi ti dico pensa. Pensa che se vivessimo tutta la vita insieme io potrei prendere la tua forma e tu la mia, come i boa e le anaconde io sarei la tua preda e tu la mia.
E hai obiettato sul fatto che quei serpenti sono animali che ingoiano e che uno ingoierà e l’altro sarà ingoiato che non si può ingoiarsi in due o cose così. C’è uno che prende la forma dell’altro. Ed è una metafora di merda questa dei rettili.
E allora mi sei scivolata addosso e m’hai preso il membro con la mano aperta per farmi sentire vivo ancora una volta e siamo scoppiati a ridere di gusto e ti ho fatto il solletico e ci siamo baciati quando mi hai detto basta io non ti amo non ti ho mai amato ma chisseneimporta di quella storia dell’amore e io ho fumato questa volta, un tiro lungo di sigaretta e tu hai tossito forte mi hai detto scherzo amore mio, vieni qui amore mio, io ti amo amore mio che a dirlo così tante volte questo amore sembra che sia meno importante.
E poi siamo rimasti in silenzio. Questa abitudine di portarti la bicicletta sul balcone deve finire e chi te la ruba una bici degli anni ’80 dico io. Ma era quella di tuo padre, e i tuoi ricordi ingialliscono e si staccano come la vernice nera del manubrio, ma i pedali sono sempre gli stessi che tuo papà era un malato, un malato di biciclette e ci hanno messo anni a buttarlo giù dalla sella.
E m’hai detto torno a casa è tardi.
Facciamo finta che sotto c’è il mare.
Anche se ci sono le auto.
Anche se ci sono i semafori.
Anche se domani devi alzarti presto.
Non ci riesco mi dici. Questa è Milano e a Milano il mare non c’è devo andare ciao.
Tu guarda in alto.
Anche se il cielo non è cielo.
Guarda in alto, c’è il mare. Facciamo finta.
Te lo disegno io.
E apro le mani e disegno le onde. E cif e ciaf sul tuo viso e cif e ciaf sulle tue tette gonfie che c’hai il ciclo e continui a piangere.
E allungo il dito e disegno una barca, le matite colorate dei nostri occhi fanno il resto.
Ti allungo il braccio e tu lo prendi. Alza la gonna che ti bagni.
Appenditi al mio collo e non guardare in basso, non aver paura.
E c’abbracciamo forte e confondiamo le acque.
I miei remi scavano strade tra le scie bianche.
Il rumore degli aerei ricorda i motoscafi e tu che mi ansimi addosso.
E i telefoni suonano e non ci sono porti per attraccare.
Per questa notte dormiremo all’aperto.
Qui sotto al mare saremo all’asciutto e guarderemo la luna riflessa sull’acqua e quelle luci rosse saranno le boe che ci indicano la rotta.
Tu non preoccuparti ti copro io.
Così è arrivata la notte che confonde i contorni e abbiamo dormito sul balcone.
Nell’intimità del facciamo finta.
Come un boa e un’anaconda, a soffocarci d’abbracci.
Coi pesci che vengono a galla per prendere aria.
E l’alba che tarda ancora a venire.
(brividi come lunghi capelli bagnati incollati alla schiena)