Domenica è campane e chiese, domenica è letto, testa pesante, gambe leggere; domenica è luce chiara, prime ore del pomeriggio, solitudine di pagine bianche e desiderio d’incontro. Domenica è il treno e il lago, domenica è Chianti in tavola, rosso di prosciutto, pane spezzato, occhi che s’incontrano, tintinnio di bicchieri. Domenica è il tuo mento posato sulla mia spalla, a prendere aria con quel che si può, la strada il motorino e magliette sempre bianche. Stanchezza e vino e così tante cose da dirci che finiamo per farci silenzio. Tu, io, e le ferrovie italiane. In quei paesi dove tutti conoscono tutti, finestre come cannocchiali per vedere senza essere visti lo sporco delle nostre vite imperfette. Se t’immaginassi ora una sedia di vimini, le tue gambe aperte, la gonna corta e lo sguardo incollato al mio, se t’immaginassi qui, a cavalcare i miei pensieri confusi, a farmi ansimare fino alla piccola morte, per spalancare gli occhi mentre mi aggrappo alle tue spalle minute, la bocca dispersa sul tuo collo magro, vedere il muro e accorgermi del bianco. Di guardare il cielo siamo buoni tutti, puoi scriverlo in francese, in inglese, sulle infinite mura del mondo, sai, quel che importa è la coscienza, essere nell’istante, presenti a sé stessi, vivi nel frattempo, verrà il futuro, tornerà il passato, che importa? E il contorno, il mondo che ci gira intorno? Dobbiamo farci i conti mi dici, l’onda ha bisogno della spiaggia altrimenti fa danni. Bagnati come siamo, ti dico, zuppi d’immagini e desideri, mi dici, complessi e così semplici, ti dico, dovremmo non vergognarci dell’animalità dei nostri cuori, pensa al sangue che ci attraversa, ai nervi che si tendono, a quel che avviene di un gamberetto dopo che è entrato nella nostra bocca. Ti chiedo spiegazioni, scuoti la testa, mi baci. Rimaniamo sdraiati, guardiamo il soffitto. Metto della musica, mi dici. Ordino una pizza, ti dico, e il tempo scorre e il muro resta bianco.
Foto: © Giulia Bersani