Restano gli animali

Rossi, sempre più rossi. Chiusi, sempre più chiusi. Dici è l’estate, la polvere, il sudore. Io dico stronzate, ne sto abusando. Lo sguardo chiede riposo a suo modo. Dove andare? Sostare in case con mura spesse, balconi grandi e prato e girasoli e cani dagli occhi azzurri che sventrano colombe e gatti dall’amore facile e cicale sonore e invisibili. Fare primavera col gelato e la panna del bar san Calisto a Trastevere, rimuovere dal tavolo i rifiuti degli altri, salutare il vecchio davanti al cesso, dire che caldo che fa come se non ci fosse cosa più importante e poi trovare il suo sputo di sangue nel lavandino, far scorrere l’acqua, lavarsi il viso, guardarsi allo specchio senza pensare alle generazioni, ai padri, ai nonni, a continuare la specie, a far sopravvivere un cognome. Un sigaro, un altro ancora, solo per il gusto di avere labbra impegnate. Non facciamo conversazione, che dobbiamo dirci? Non c’è nulla di indispensabile, nulla di così prossimo che richieda lo sforzo di comporre frasi, tu guardami, ti guardo anche io. Direi che ci bastiamo. E se ti annoi me ne accorgo, e se sei stanca ti chiedo che c’è? Sbaglio. Dovrei capirti ancora più a fondo, saper cogliere il senso delle pause e non aver fretta di dire quei ti voglio bene che avvolgono il cuore ma stanno male in bocca. La spiaggia di Capalbio, la pelle abbronzata di Paolo, il suo taccuino e le lettere scritte e dimenticate in spiaggia. La sagra sulla collina e i balli con le signore tacchi alti e profumi dolci, boccucce all’infuori, sei solo un giovanotto, mentre i bambini ridono, le adolescenti coi loro seni acerbi in mostra si azzuffano per un ragazzo vestiti stirati e muscoli sodi che accompagna la bionda a casa sul motorino comprato dal papà finanziere. Facciamo notte, spengono le luci, restate pure, noi ce ne andiamo, la cucina è chiusa, l’ultima birra la offriamo noi. Serve ancora parlare? Il lago, il mare, e una distesa di piante verdi, la brezza che spira da ovest, i miei capelli arruffati, dove sono le tue labbra ora? Su quale ventre si muove il tuo ventre? A chi concedi l’affannato piacere delle tue labbra rosse? Se continuo a tenere tutto sotto il controllo della ragione esploderò, lo sai anche tu, penso io mentre la lucertola s’è fatta strada sulla mia mano, sale sul braccio, la guardo, mi guarda, scompare sotto la mia maglietta. Solletico tra i peli, si spaventa, scompare. Rimango io, il mio corpo e il tuo lontani ora, lontani ancora. Restano gli animali a portare il tuo ricordo, i miei simili.

Foto: © Matias Costa

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