Ora che le mura disperdono il calore del giorno, dalla finestra frinire di irrigatori automatici, un vento leggero che muove le foglie, sul mio letto sudore e seme. Il cuscino e le pieghe sul viso, mi guardo allo specchio, chiudo gli occhi e non sono più, li apro e sono di nuovo. Chissà domani, chissà tra un anno, chissà tra dieci, che ne sarà del mio viso? Ci sarà una mano conosciuta capace di trasformarsi in carezza? E io esisterò ancora? La domanda sciocca che presuppone la fine, i piani sul futuro per sconfiggere la morte. Pensa all’oggi, dici, tu che al ‘de Medici proprio non assomigli. A che serve, spiegarti il perché il mio stomaco si contorce, perché i pensieri col buio si fanno molesti. Nell’ora in cui le zanzare scompaiono e i pipistrelli riposano guardandoci alla rovescia siamo stravolti anche noi, d’ansie, di desideri e del pensiero che anche quest’anno la nostra posta sarà avida di cartoline, nessuno più ci manderà un saluto scritto a penna e sullo sfondo un tramonto, un mare blu, tette tonde e sode, culetti depilati, muscoli e olio, grand hotel, madonne e monumenti storici. E le persone, anche le persone, non sono più quelle di ieri, sono cambiate loro o sei cambiato tu? Seghe! Meglio pensare alla mancanza di souvenir, al mio odio per i poster dei rotocalchi. Che appenderò al muro? Mi chiedi. Tieni lontano i designer dalle pareti della tua stanza, rispondo io, ora che le foto riposano nei cellulari e sulle mura regna il bianco che pulisce lo sguardo quando questo s’innalza, noi appoggiamo il peso sulle spalle per lucidare gli occhi tra i pixel, per essere sempre altrove, mai qui, mai ora. Vorrei dirti una cosa sciocca, tipo che il formichiere non ha i denti, soltanto lingua, chissà che succhiotti! Divento greve, lo vedi? Vorrei dirti una cosa saggia, tipo che il numero trentasei è chiamato Mondo dai Greci perché è la somma dei primi quattro numeri pari e dei primi quattro dispari, così abbiamo tutto il tempo per sentirci inadatti, poi viene l’intero, la coscienza del tutto, basta saper aspettare. Trentasei e sei Mondo, mica uno qualsiasi. Il tuo profumo, invece, non lo ricordo. Se fossi qui saliremmo sul tetto a fumare, a guardare i balconi e le finestre degli altri a chiederci quali altre vite potremmo vivere, come in quella casa in corso di Porta Romana, come quando Andrea tornava dal lavoro, due Moretti ghiacciate e una sigaretta, a dirci che se vuoi andare a Roma mica ci vai camminando all’indietro quando hanno inventato il Frecciarossa e pure Italo per nobile concorrenza, che la tecnologia è importante, fanculo le cartoline, viva le foto su Instagram. Ricordi. Il ventilatore qui, non si concede tregua, gira, gira, gira e non si lamenta, io invece sono pausa e timore, incapace d’attesa sono l’enorme mio sfogo, per essere qui e volere l’altrove, per l’impossibilità di fare del finito infinito. Di te.
Foto: © Philip-Lorca diCorcia