Come i pesci: dimentichiamo tutto e apriamo bene gli occhi

Ti hanno pubblicato tutto, infami. Trentasei gradi e sudore a gocce sulle tue parole stanche, perché hanno aperto i cassetti della tua stanza? Perché la tua macchina da scrivere è esposta, perché ti hanno preso a calci, non ne avevi subite abbastanza in vita? Ti leggo con lo sguardo di chi ha trent’anni ma crede di comprendere tutto, anche le maree, le donne no, quella è un’altra storia. Ti leggo e sorrido, dico che è non è facile stare bene e scrivere bene, non è facile stare male e scrivere bene. Come se questo “male” e questo “bene” fossero due parole dense di significato, come se ci fosse il giusto e l’errore. Io prendo l’uomo a misura del tutto, innalzerei una U maiuscola sulle anime pure che si stupiscono del limp lamp delle lucciole, delle libellule che sfiorano il pelo dell’acqua. Lontano da noi le palme verdi, vicino a noi i cocktail ghiacciati, così ti guardo attraverso il bicchiere. I tuoi capelli neri e lunghissimi, il tuo seno scoperto, i tuoi capezzoli dolci in punta di lingua. Amico mio, scrivevi, tra una stella cadente e l’altra è il nostro destino, confusi, scontenti e sempre in movimento, capaci di stendere le labbra per fare uscire un wow e urlare al cielo la felicità dell’attimo. Se avessi studiato la musica le mie parole sarebbero canzone, chitarra e versi, per farti addormentare, mai per svegliarti, che il caffè è insuperabile. Amico, sei vermi e cielo, in quell’America che non ho mai visto e che non sogno mai. Lei è qui, più vicina di quanto tu creda, con la sua voce leggera e i suoi vestiti a righe, ti stupiresti alla vista dei suoi piedini. La notte scioglie la lingua e i pensieri si fanno caldi, prendo il motorino, sotto casa sua sotto casa sua, lei non scende non c’è, dov’è? Quando l’immaginazione sostituisce il su e giù del ventre che concede le costole, e scambio d’umori e di cuori, a intrecciare le nostre paranoie e proiettare sul soffitto le nostre ombre irraggiungibili. E i ventilatori suonano per noi e i vicini ci ascoltano e un po’ ci invidiano. Toglimi il cuore e fammi sanguinare, sdraiati sulla schiena, disegnerò sul tuo sedere le nostre vie che prima si allontanano e poi si incontrano e poi diventano una e non sappiamo a dove porta e siamo spaventati e siamo così belli. Ci guardano dai balconi, dalle finestre, ci guardano dai tram e dai cinquantini, ci guardano anche le malelingue, noi facciamo come i pesci, dimentichiamo tutto e apriamo bene gli occhi. Dalle parole di un altro alle tue, quali sentieri segue il mio pensiero, quali notti non ho dormito, quali giorni ho trascorso davanti ai pixel ad osservare le vite degli altri, a chiedere attenzioni, ad ascoltare canzoni che vorrei aver scritto io? “Baciami adesso, se puoi, baciami adesso se vuoi”, è così semplice, non l’hai scritto tu, non l’ho scritto io, basta una radio e l’informe ora prende ora forma e il non creato, si crea. Se solo tu fossi, io sarei. E tu, lo so, tu sei.

Foto: © Dimitris Triantafyllou

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