Con le fotografie per dire chi sei, dove sei, chi ti circonda e come guardi e cosa guardi. Io mi dedico all’interpretazione, sei fondi di caffè, sei tarocchi, sei le linee sul palmo delle mani, tu, mia invenzione, mio riflesso. Nell’immaginato il senso e nell’ideale il tendere, il resto è presente, ferite sulle dita, muscoli tesi e sveglie sempre troppo presto. Il lavoro, le serrande da alzare, le serrande da chiudere, quando nel ristoro di una doccia fresca gli occhi chiusi, i capelli bagnati e i mari del sud le cosce bianche delle giovinette che attraversano la strada e ci fanno sorridere. Così mi ritrovo a schernirmi da solo a dire che il qui e l’ora non sono tutto. M’inganno, mi dici. Ieri sera lucciole e piume di pavone, la meraviglia di una ruota acquamarina e fluorescenze poi quel verso sgraziato che rompe la quiete. Sei quella ragazza laggiù che cattura lo sguardo e rovina il quadro di parola in parola. In questo paese dove i cantanti hanno opinioni su tutto, i perseguitati diventano saggi, i personaggi inventati maestri da seguire, che dovrei fare? In questo paese le schiene chine usano la parola quando è necessario, il resto sono tastiere per egotici “io penso.”, che dovrei dire? Narciso io, giovane sempre io, nell’età di mezzo che è questa adolescenza infinita mi prendo in giro con le fantasie, eppure sai che non ho più idee su niente, che amo la carne degli esseri umani e il respiro che l’attraversa, che mi affeziono con facilità, che riconosco i deboli come fratelli e contesto i potenti soltanto quando dimenticano che non c’è solo il cielo, che sì, tra i piedi è polvere e asfalto, ma non esistono soltanto i bisognosi, il terzo mondo, i profughi, gli immigrati, tutto intorno è ricca la terra d’infelici, di ineducati al bello, di timorosi che fanno dell’aggressione un alfabeto, non al cielo né agli abissi, verso l’orizzonte più prossimo, come allungare la mano in carezza e dire che sì, siamo qui insieme, felici e infelici, smarriti o già ritrovati, sempre incompleti, in ricerca in attesa. Capaci di dire “io ero, io sono, io sarò”. Illusi forse, magari soltanto imperfetti, magari felici e inconsapevoli. Magari.
Foto: © Giulia Bersani